Giuliani, fiumani e zaratini potevano votare il 2 giugno 1946, ma…

Il Decreto Legislativo Luogotenenziale n. 74 del 10 marzo 1946 prevedeva che i rappresentanti che avrebbero occupato i 573 seggi dell’Assemblea Costituente dell’Italia libera e democratica che stava rinascendo dopo la Seconda Guerra Mondiale sarebbero stati votati il successivo 2-3 giugno contestualmente al Referendum istituzionale Monarchia/Repubblica. Rientravano anche 13 seggi spettanti alla XII Circoscrizione (Venezia Giulia, Fiume e Zara), ricostituita con riferimento alla ripartizione dei collegi elettorali del 1924, anno in cui avvennero le ultime elezioni politiche in Italia prima del definitivo consolidarsi del regime di Benito Mussolini.

In quel momento l’Italia esercitava ancora formalmente la sua sovranità sui territori rientranti in tale XII Circoscrizione, ma la fine del recente conflitto aveva lasciato una situazione molto complicata. Il primo maggio 1945 Trieste fu occupata dalle avanguardie dell’esercito jugoslavo che, su ordine di Tito, stava trasformando una lotta di liberazione nazionale in una campagna espansionistica nei confronti di quelle province di frontiera che erano state annesse all’Italia alla fine della Prima Guerra Mondiale. Coerentemente con gli obiettivi del nazionalismo sloveno e croato, l’obiettivo era tutta la regione, non solo le località in cui la popolazione era in maggioranza slava. Chi si oppose a tale progetto espansionistico fu perseguitato, arrestato, deportato o infoibato alla stregua degli ex fascisti o dei collaborazionisti durante l’occupazione nazista, anche se si trattava di antifascisti o di ex partigiani patriottici. Migliaia furono le vittime di questa seconda ondata di foibe.

Dopo quaranta giorni di paura, repressione e violenza, gli accordi di Belgrado posero fine all’occupazione jugoslava della Venezia Giulia, che però non potè ricongiungersi al resto d’Italia avviata verso la ricostruzione e la rinascita. L’ufficiale britannico Morgan risolse lo stallo delle trattative tra angloamericani e jugoslavi tracciando una linea che prese il suo nome e individuò una Zona A con Trieste, Gorizia e Pola sotto Amministrazione Militare Angloamericana ed una Zona B con Fiume ed il resto dell’Istria e della Venezia Giulia sotto Amministrazione Militare Jugoslava.

Tratta dal Centro di Documentazione della Foiba di Basovizza

Nella Zona A le autorità di occupazione, interessate al controllo del porto di Trieste, della base di Pola e delle vie di comunicazione con l’Austria, consentirono lo svolgimento di elezioni amministrative, garantirono il regolare svolgimento della vita pubblica e si comportarono insomma in maniera coerente con quel che il diritto internazionale prevedeva per un’amministrazione militare inerente un’area su cui formalmente la sovranità italiana era ancora in vigore, ma bisognava definire il nuovo confine.

Ben altro avveniva nella Zona B, ove le elezioni avvennero imponendo una sola lista, portata avanti dalle emanazioni locali del Partito Comunista Jugoslavo, e gli italiani che intendevano dimostrare il proprio dissenso disertando le urne vennero portati a votare con la violenza e le minacce. I “Poteri popolari” stavano assimilando la regione all’organizzazione amministrativa della nascente Jugoslavia comunista, il ricostituito Comitato di Liberazione Nazionale dell’Istria venne represso, fu imposta una nuova valuta che scatenò soprattutto a Capodistria manifestazioni di protesta poi soffocate con morti e feriti.

In questo scenario il Decreto Legislativo Luogotenenziale n. 99 del 16 marzo 1946 “sospese” le imminenti votazioni nella XII Circoscrizione (e nella provincia di Bolzano), che in definitiva mai ebbero luogo. Decine di migliaia di cittadini venivano estromessi dal momento fondativo del nuovo Stato italiano e non poterono eleggere i propri rappresentanti nel consesso che non solo avrebbe redatto la nuova carta costituzionale, ma anche deliberato in merito ad un Trattato di Pace inerente la loro sorte. L’Italia perse un’occasione per ribadire che esercitava ancora la sovranità sulle province di Trieste, Gorizia, Pola, Fiume e Zara, ma in effetti di quale sovranità si trattava?

L’armistizio che fu annunciato la sera dell’8 settembre 1943 era una resa incondizionata, con la quale l’Italia rimetteva i suoi poteri nelle mani delle potenze alleate, rinunciando alla propria capacità di azione sul piano internazionale. Nel corso dei mesi successivi il Regno del Sud rappresentò la continuità dello Stato italiano attraverso la figura regia e nel limite di quel che concedevano le autorità alleate di occupazione, ma in politica estera non c’era alcuna capacità decisionale. Tale debolezza si sarebbe manifestata sul confine orientale, ove già a guerra in corso gli angloamericani prima delle rivendicazioni italiane si occuparono di non entrare in aperto contrasto con Tito, spalleggiato dall’Unione Sovietica, e di non creare poi situazioni imbarazzanti mentre si svolgevano i lavori della Conferenza di Pace. Se nella Zona A c’erano i presupposti per poter votare liberamente, altrettanto non si poteva dire per la Zona B. Le autorità angloamericane non erano intenzionate a spendersi affinchè la situazione mutasse o le votazioni avvenissero solamente in una porzione della Circoscrizione suscitando polemiche inerenti la Zona B. Ecco perché quel secondo Decreto Luogotenenziale sospese sine die la convocazione alle urne degli elettori giuliani, fiumani e zaratini per il 2-3 giugno 1946.

Lorenzo Salimbeni

Fonte: Davide Rossi, La “questione di Trieste” e il voto del 2 giugno 1946: un problema anche costituzionale, in GIUSEPPE DE VERGOTTINI – DAVIDE LO PRESTI – DAVIDE ROSSI (a cura di), Il Territorio Adriatico. Orizzonte storico, geografia del paesaggio, aspetti economici, giuridici e artistici, Vol. II, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 2019, pp. 181-223.

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