Gianni Giugovaz, esule da Pirano e sindaco di San Quirino

21.09.2025 – Conosciamo Gianni Giugovaz a Pordenone, durante uno dei tanti eventi che lo vedono protagonista come presidente del locale Comitato provinciale dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia. È una tappa del programma di iniziative stabilito per l’anno in corso, circondato da validi collaboratori. Per la sua posizione geografica, a occidente della regione FVG, è il sodalizio più defilato, ma certo non il meno interessante per la vicenda dell’esodo, che ha portato in questa città e nei borghi limitrofi tanti esuli istriani-fiumani-dalmati. Pordenone, in epoca recente, con il suo Festival tra editoria e letteratura, come un vulcano in eruzione ha coperto di polvere e detriti tutto il resto, spesso oscurando le tante realtà che invece sono meritevoli di essere conosciute.

Gianni, ci può raccontare il viaggio d’esilio della sua famiglia da Pirano al Pordenonese?
“Hanno aspettato fino all’ultimo, come tante altre famiglie di quel territorio, perché nutrivano la speranza che almeno quel piccolo lembo di terra definito ‘Zona B’ potesse rimanere all’Italia dopo la Seconda guerra mondiale. Poi, come insegna la storia, si è giunti alla firma del Memorandum di Londra del 5 ottobre 1954 col quale la Zona B veniva assegnata alla Jugoslavia. Fu allora che la mia famiglia fece domanda per potersene andare, perché anche per questa scelta definitiva bisognava richiedere il permesso delle nuove autorità. Un passo falso poteva significare la prigionia e la morte: o si poteva finire annegati con una pietra al collo come successe a un nostro cugino sorpreso a bordo di una barca mentre tentava di raggiungere Trieste a remi”.

La prima destinazione fu anche per voi Trieste da dove le famiglie venivano smistate e trasferite…
“Infatti, nel febbraio del 1956 partimmo per Trieste con un camioncino sul quale caricammo almeno qualcosa della nostra vita precedente. Due guardie con la stella rossa cucita sul basco controllavano, decidendo se il bagaglio potesse passare oppure no. Non c’era possibilità di replica. Dopo essere transitati per l’ufficio smistamento fummo assegnati al campo profughi di Sistiana, un magazzino degli anglo-americani”.
“Qui ebbe inizio un periodo di continui spostamenti: sei mesi di permanenza poi la nuova destinazione, Opicina, non al campo di Padriciano, ma in un altro campo profughi più piccolo composto da baracche di legno. Nell’ottobre del ‘57 ci mandarono alle Villotte di San Quirino, dove mio padre già lavorava. Mentre eravamo ancora in campo profughi, papà Rudi e nonno Giovanni avevano trovato lavoro presso un’impresa edile che stava partecipando alla costruzione della strada nota come ‘camionabile di Trieste’. A quell’impresa medesima l’ente Nazionale Tre Venezie (ente statale creato ad hoc per fare delle bonifiche) diede in appalto la realizzazione dei cosiddetti poderi: si trattava di case agricole con stalle, fienile e terreno, mediamente di circa 7 ettari, nel Pordenonese, precisamente 59 poderi alle Villotte di San Quirino; al Dandolo di Maniago qualcuno in meno ma un po’ più grandi con 10 ha di terreno e tra i comuni di Fontanafredda, località Forcate, e Roveredo in Piano, località Tornielli, più o meno lo stesso numero. In questi tre luoghi si insediarono circa un migliaio di esuli istriani”.

Famiglie di esuli alle Villotte

Un territorio nuovo per gli esuli, un arrivo controverso per i locali…
“L’integrazione infatti non fu facile, un po’ perché erano case sparse, defilate, site ai margini dei paesi; un po’ perché gli abitanti ci consideravano slavi venuti a rubare le loro terre anche se in effetti il contratto era chiaro, si trattava di Terreni e case pagati al valore di allora attraverso un mutuo trentennale con ‘Patto di Riservato dominio’. In parole semplici, il pagamento avveniva attraverso ratei: l’acquirente otteneva il godimento del bene fin da subito, ma la proprietà passava definitivamente al nuovo proprietario solo a esaurimento dell’ultima rata”.

Una formula che venne accettata senza riserva…
“Vero, ma non senza amarezza. Le nostre case e i terreni abbandonati, considerati come bottino di guerra, risarcimento dei danni provocati dalla guerra mondiale che abbiamo perso, non sono mai stati pagati ai legittimi proprietari. Sappiamo che le due tranche riconosciute dal governo italiano dopo parecchi anni non corrispondono minimamente al valore reale delle proprietà, tant’è che ancora oggi la vertenza è aperta: ma tutti ormai abbiamo capito che non verremo mai più completamente risarciti”.

Tutto ciò finiva per influire sul processo di integrazione? O c’era dell’altro?
“La verità è che il territorio a noi affidato era un esempio di terreni aridi fino all’inverosimile. Si tratta dei cosiddetti Magredi dove si lavorano ciottoli di pietra non la terra. Su questo deserto cresceva a malapena un po’ d’erba che seccava velocemente. Difficile anche da raccogliere se la falce non era ben affilata”.

Chi ci passa ora vede giardini, come avete fatto?
“Con l’arrivo dell’acqua per l’irrigazione a scorrimento e il sudore degli istriani: questi terreni sono stati trasformati, diventando fecondi e produttivi. Viti, peschi, ciliegi, kiwi ed altre coltivazioni si possono vedere ancora oggi”.

Fu gioia per tutti?
“Non direi, molti istriani confluiti in questi luoghi non erano agricoltori. Si trattava di pescatori, impiegati ecc. e i primi anni quando bisognava affrontare le rate del mutuo andarono in crisi e preferirono cercare fortuna altrove. Mio padre e mio nonno invece essendo agricoltori capirono subito che per sostenere la famiglia e affrontare le rate del mutuo non bastava l’impostazione classica prevista anche dall’ente che si occupava della materia ma che bisognava tentare di integrare le colture esistenti con altre per aumentare la produzione, anche se in mezzo a tanti sassi. La mia famiglia in Istria coltivava la terra e produceva frutta e verdura che andavano a vendere al mercato di Trieste. Così iniziarono con colture orticole e frutteti, in gran parte peschi, coinvolgendo tutta la famiglia compresi noi ragazzi che andavamo ad aiutare dopo la scuola. Fu un periodo molto difficile, ma dopo qualche anno iniziammo a provare un po’ di serenità e giunse anche la tranquillità economica”.

Che famiglie giunsero ai Magredi?
“Qualche cognome: Crevatin, Pulin, Ruzzier, Visintin, Latin, Tomizza. E poi Gelisi e Bessich, due nomi noti anche perché le loro proprietà inclusero due piccole cantine di successo”.

Avrebbe mai immaginato che quel ragazzino sarebbe diventato sindaco?
“Devo dire che la mia esperienza di sindaco è stata bella soprattutto perché è stata la conferma del successo della nostra integrazione, del nostro riscatto, avevamo finalmente superato le tante diffidenze iniziali. Quando mi sono candidato, sapevo che non sarebbe stato facile vincere perché la nostra storia continuava a essere ignorata dalla gente del posto. Anche se non ci definivano più slavi o fascisti eravamo pur sempre ‘foresti’, non sanquirinesi”.

Ma i giovani nati in loco dalle famiglie istriane come e cosa si sentono?
“Essendo nati qua, non in Istria o Dalmazia, sentono poco l’attaccamento alle terre di origine dei loro padri. Solo alcuni, troppo pochi, dimostrano un qualche interesse anche perché, a mio avviso, non conoscono sufficientemente e nel giusto modo, la nostra storia. A scuola sono pochi gli insegnanti che si spendono per farla capire. Rimane la nostra associazione che su questo fronte si sta impegnando molto”.

Gianni Giugovaz eletto Presidente dell’ANVGD Pordenone 

Come presidente dell’ANVGD di Pordenone ha un ruolo anche nell’associazione nazionale?
“Il mio peso all’interno dell’associazione nazionale è rappresentativo, ma limitato. Diciamo che esercito il ruolo di presidente del Comitato Provinciale di Pordenone rapportandomi sia con il presidente nazionale che con alcuni presidenti dei vari comitati provinciali sparsi nel nord Italia con i quali ci sentiamo spesso e collaboriamo in varie occasioni”.

Che cosa chiedono i vostri soci?
“La gente chiede sostanzialmente che venga fatta conoscere la nostra storia, ridotta all’oblio perché ritenuta scomoda per opportunità e convenienze politiche. Chiede che venga detta la verità, e di far emergere ad ogni livello la grande dignità di questo popolo disperso in tutto il mondo che ha saputo riscattarsi a costo di grandi sacrifici”.

Quali le attività più gettonate?
“I viaggi, le escursioni che organizziamo nei paesi di origine incontrando le locali Comunità degli italiani e la visita dei paesi di provenienza. Si sta rivelando di grande importanza anche il coinvolgimento delle scuole, dei giovani. Molto apprezzati i concerti, gli spettacoli multimediali con musiche, letture e proiezioni di immagini che raccontano la nostra storia. Innovare è sempre difficile: ci vogliono idee e un gran coraggio. Io credo che in questi tre anni da quando sono presidente, il nostro comitato di Pordenone sia rinato e abbia dimostrato anche una grande capacità di risveglio con eventi nuovi, adatti ai gusti dei giovani, con un grande coinvolgimento delle scuole, grazie anche all’ottima collaborazione con il Comune di Pordenone”.

Pordenone oggi è sinonimo di Vetrina di Libri e Autori, avete stabilito dei contatti?
“Pordenone legge è un’eccellenza che gode dell’interesse e l’ammirazione di tutta Italia, e noi contiamo il prossimo anno di parteciparvi, perché sino ad ora siamo stati ignorati, per cui proporremo un nostro corner con la partecipazione di alcuni bravi scrittori che hanno saputo raccontare con coraggio, equidistanza, imparzialità il dramma delle foibe e del conseguente esodo, ma anche il nostro riscatto”.

Se ne riparla a settembre/ottobre?
“Anche durante le vacanze non abbiamo smesso di lavorare, stiamo preparando un concerto/spettacolo da portare a Pola nel mese di ottobre ed è in cantiere un nuovo progetto per la valorizzazione del dialetto istro-veneto nel 2026. Ma ne riparleremo a tempo debito…”.

Intervista di Rosanna Turcinovich Giuricin a Gianni Giugovaz
Fonte: La Voce del Popolo – 20.09.2025

Gita dell’ANVGD Pordenone a Gorizia Capitale Europea della Cultura insieme a Nova Gorica
Maria Grazia Ziberna (Presidente ANVGD Gorizia), Rodolfo Ziberna (Sindaco di Gorizia)
e Gianni Giugovaz (Presidente ANVGD Pordenone)

0 Condivisioni