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G. A. Stella da vent’anni a fianco degli italiani «oltre confine» (Voce del Popolo 21nov12)

Gian Antonio Stella, giornalista e scrittore, una delle firme più importanti del Corriere della sera e del giornalismo del Bel Paese, è stato ospite mercoledì sera alla Comunità degli Italiani (Palazzo Modello), dove ha tenuto una conferenza dal titolo “L’eterna guerra contro l’altro”, durante la quale ha illustrato ai presenti il vecchio vizio che esiste da quando esiste l’uomo, che le persone hanno di creare divisioni (nazionalità, colore, sesso, appartenenza politica e altro) tra di loro, che il più delle volte sfociano in un odio violento che provoca guerre e crimini contro l’umanità. La serata, organizzata dall’UI, dall’UP Trieste e dalla CI locale, è stata introdotta dalla presidente della CI, Agnese Superina; il presidente della GE dell’UI, Maurizio Tremul, ha presentato l’ospite, che dopo la conferenza ci ha concesso un’intervista.

 

Gian Antonio Stella e gli italiani ‘al di qua’ del confine. Una storia che dura da decenni. Lei già si occupò di noi, dell’UI, verso la fine degli anni ’80. Famosi rimangono gli articoli che scrisse allora sul Corriere della Sera, nei quali espresse il proprio appoggio alla CNI in Slovenia e Croazia, a quei tempi messa in discussione dall’allora presidente Cossiga. Che ricordi ha di quegli avvenimenti?


“La prima volta sono venuto in Istria in vacanza; erano gli inizi degli anni ’80. Vi sono ritornato dopo aver letto un articolo sul Piccolo di Trieste che diceva “Allarme della Comunità Italiana, la comunità sta morendo”, più o meno nel 1987. Questo mi ha spinto ad approfondire l’argomento. In quell’occasione ho conosciuto un sacco di gente, Ezio Mestrovich, Maurizio Tremul, Eros Bičić, Franco Juri e molti altri, tutto il gruppo che poi avrebbe animato la riscossa a favore degli italiani oltre confine. Allora andai a trovare anche Anita Forlani; passai da Pola e Dignano e conobbi il prof. Radossi. Quel viaggio e tutti quegli incontri mi hanno portato ad appassionarmi al tema degli italiani oltre confine. Poi, quando Cossiga disse la scemenza: ‘Non mi risulta che ci siano ancora italiani in Slovenia e Istria’, io feci un pezzo cattivissimo, molto duro. Anche se non ero ancora il giornalista noto di adesso, ma avevo ‘le spalle più strette’, il presidente lesse il mio articolo”.

“Nel corso della mia carriera ho avuto un rapporto difficile con Cossiga – ricorda Stella -, momenti di grande simpatia e momenti bruschi. Però Cossiga era uno che, quando era consapevole di avere torto, sapeva riconoscerlo e di questo devo dargliene atto: ammise di avere torto e chiese scusa. In seguito ho avuto modo di intervistare il comandante Giacca, quel comandante di una banda di partigiani che fece la strage di Porzûs, una cosa orribile: partigiani rossi filo-titini che ammazzano i partigiani filo-cattolici che stavano intorno al comandante De Gregori (lo zio di Francesco de Gregori). A Porzûs fu ucciso anche il fratello di Pasolini. Sono andato a trovare il comandante Giacca, mi pare vivesse a Capodistria, e non era per niente pentito di quello che aveva fatto. Anzi, era ancora convinto della giustezza delle sue tesi; quindi mi documentai per capire meglio le vicende di queste terre”.

 

Il suo è diventato un rapporto talmente stretto con l’Istria che neanche lo scoppio della Guerra dei Balcani è riuscito ad interrompere.


“Quando scoppiò la guerra e pareva che bombardassero Capodistria e Fiume, io ero qua. Ero qua anche quando incominciarono ad arrivare in Istria le prime ondate di profughi. Tra Istria, Quarnero e Dalmazia ci sarò stato più di cento volte. Sono profondamente legato a queste terre e alle vicende di voi italiani oltre confine. Conosco l’Istria talmente bene che mi ritengo di avere il diritto di incazzarmi se ci sono delle cose che non mi piacciono. Come per esempio l’affare intorno alla centrale a carbone di Fianona. In un posto bellissimo, con quel fiordo meraviglioso, la centrale di Fianona è una cosa assurda: ancora carbone nel 2012”!

 

Lei fu uno dei pochi giornalisti italiani che parteciparono a Buie alla riunione del Gruppo d’opinione ‘88. Che ricordi ha di quel periodo?


Mi ricordo benissimo quell’avvenimento. C’ero anch’io alla riunione, in un cinema, del Gruppo d’opinione ‘88, che ha segnato un momento di svolta importante per l’UI. Credo che ci fossero solo due giornalisti italiani presenti: io e il collega del Piccolo. Mi ricordo che fu una stagione molto interessante, nel mio piccolo diedi l’appoggio agli italiani ‘al di qua’. Conobbi Antonio Borme e Virgilio Giuricin, vittima dell’ultimo processo politico razziale in Europa; era accusato di spionaggio perché portava a sviluppare le foto che faceva a Pordenone. Una cosa ridicola, pazzesca. Aveva diritto di rispondere al processo in italiano, ma non gli fu permesso; una cosa assurda”!

 

Collegandoci al tema della sua conferenza, “L’eterna guerra contro l’altro”, spiega come nel corso dei secoli tra la gente vi sia costantemente nell’aria odio, paura nei confronti del ‘diverso’. Sembra che i media cavalchino e fomentino spesso l’onda della paura. Che cosa ne pensa? Com’è lo stato di salute attuale dell’informazione in Italia?


”Non c’è dubbio, l’informazione ha colpe innegabili. Troppo spesso, pur di aumentare l’attenzione, si fa un gioco al massacro che produce onde d’odio che poi diventano difficili da controllare. È l’informazione quella che dovrebbe essere il controllore della società, che dovrebbe tentare di ripristinare la verità laddove questa venga alterata. Per quanto riguarda il suo stato di salute, mettiamola così: Indro Montanelli e Enzo Biagi dicevano che se uno è bravo non si riesce a censurarlo. È vero, ma a me non basta; se uno è bravo sì che è più difficile censurarlo, però non deve prevalere il principio ‘tu devi essere bravo per non essere censurato’. Io posso scrivere tutto quello che mi passa per la testa, ma sono consapevole che c’è la censura. Quello che mi fa più paura è l’autocensura, che negli ultimi tempi sta prendendo piede nelle varie pubblicazioni; i giornalisti scrivono meno di quello che vorrebbero per non avere grane”.

 

È quasi d’obbligo farle una domanda sull’attualità politica in Italia. Insieme a Sergio Rizzo ha scritto il libro “La casta. Così i politici italiani sono diventati intoccabili”, caso editoriale italiano arrivato alla ventunesima edizione; nella saggistica ha battuto tutti i record: un milione e trecento mila copie. Nel libro sono spiegati nel dettaglio tutti gli sprechi ed i costi della pubblica amministrazione. Con il governo dei tecnici come sta la ‘casta’, che fine hanno fatto gli sprechi?


“La situazione economica è così pesante che hanno dovuto (i politici ndr.) fare dei tagli, però in ogni momento, con ogni trucco, cercano di ‘svuotare’ i tagli che hanno fatto; aboliscono i vitalizi nelle regioni, però poi fanno una leggina che li fa rientrare dalla finestra sotto altra forma. In realtà le svolte vere che speravamo si facessero non ci sono state neanche con il governo Monti, anche se qualche piccolo passo in avanti è stato fatto. Per esempio, è diminuito del 92% l’utilizzo dei ‘voli blu’. Sul taglio delle province, che in Italia hanno un peso enorme sulla spesa pubblica, il governo ci ha provato, ma alla fine non si è fatto niente”.

 

Restando all’attualità politica e al tema ‘paura verso l’altro’, negli ultimi tempi la politica italiana, destra, sinistra e centro, ha un ‘nemico’ comune, ritenuto il portavoce dell’‘antipolitica’: Beppe Grillo. Cosa ne pensa? Grillo sarà in grado di rivoluzionare il sistema partitico italiano?


“E Berlusconi che è entrato in politica tuonando contro i vecchi politici? Non era antipolitica anche quella? Nel momento in cui il movimento di Grillo si presenta alle elezioni, diventa movimento politico. Grillo fa politica, può piacerti o non piacerti, ma la sua è politica pura. Dicono non abbia un programma, però c’è ed è consultabile da tutti in rete. Io non sono d’accordo con il suo programma, per esempio, l’abolizione di tutti gli inceneritori, niente rigassificatori, abolizione dei partiti, e potrei fare una lista di cose che mi vedono contrario al programma di Grillo. Ma una cosa positiva, la vera rivoluzione, è che ha consentito a tantissimi giovani di avvicinarsi alla politica. Io lo conosco bene, ho un buon rapporto con lui, non sono d’accordo con il suo pensiero, però è una persona che crede nei propri ideali, è uno che ci mette la faccia, è sempre stato molto coerente. Ma… con che faccia i politici di oggi dicono che Grillo fa antipolitica?”

 

Con le nuove tecnologie che influenzano sempre più la vita quotidiana, che futuro prevede per il giornalismo tradizionale, quello della carta stampata? Rischia di scomparire a favore dei nuovi media?


“Io non sono un feticista del tipo “solo la carta, l’odore della carta, la bellezza di sfogliare un giornale con i polpastrelli’. Se tutti i nostri lettori passassero sull’ i-pad per me non cambierebbe nulla. L’informazione ha un senso se chi te la dà si assume le proprie responsabilità. Guai a credere che la rete sia fonte di verità assoluta; su Internet si trovano scemenze pazzesche. Internet è come una dinamite, è indispensabile, se vuoi buttare giù una costruzione abusiva devi usare la dinamite, altrettanto devi fare se vuoi costruire una galleria. Sopra, però, c’è scritto ‘usare con attenzione’; così deve essere anche per Internet. Alla fine l’importante per una notizia – o su carta o su Internet – è che ci sia e che sia vera”.

 

Parlando con lei si nota grande passione e amore per il giornalismo. Ha scritto decine di libri di denuncia, centinaia di inchieste, articoli, ecc. Nonostante questi siano arrivati a un grande numero di persone, i fatti che denuncia e di cui scrive stentano a cambiare. Cos’è che la spinge a continuare nel suo lavoro di inchiesta con tanta determinazione?


“A dire il vero io ho un rapporto metalmeccanico con il lavoro, sono un operaio pagato bene. Mi alzo alla 5 di mattina e lavoro tutto il giorno; lavoro perché devo farlo. Se c’è da fare una battaglia sul razzismo non è che la faccio perché mi pagano, la faccio perché devo farla. C’è da fare una battaglia contro le grandi navi a Venezia? La faccio perché ci credo. Lo faccio perché questo è il mio mestiere. Io porto a casa una sconfitta al giorno: denunci tante cose ma spesso non fanno niente. Ho più sconfitte che Ferrara alla Sampdoria (ride). Allora cosa fai, smetti? No vai avanti, anzi, più ‘battaglie’ perdo più insisto; non si deve mollare. Come dice John Belushi: ‘quando il gioco si fa duro i duri iniziano a giocare’ (dice sorridendo). Ed è proprio questo il punto, non arrendersi mai. Proprio voi, al di là del confine, ne siete l’esempio migliore”.

 

Marin Rogić

“la Voce del Popolo”  21 novembre 2012

 

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