Pubblichiamo il resoconto, a firma di Paolo Radivo, della riunione convocata l’11 luglio a Trieste dalla FederEsuli per illustrare e discutere del progetto Fondazione degli esuli istriani, fiumani e dalmati
È stata franca e a tratti vivace ma proficua la riunione informale dei direttivi delle associazioni aderenti a FederEsuli (aperta ad altri invitati) che il presidente Renzo Codarin ha indetto presso la sede dell’Associazione delle Comunità Istriane a Trieste in accordo con il presidente di questa Manuele Braico. In tutto vi ha partecipato una quarantina di persone: quasi un’assemblea. Lo scopo era di ovviare all’ampia disinformazione creatasi intorno all’idea di una possibile fondazione a tutela delle attività culturali degli esuli italiani di Istria, Fiume e Dalmazia.
Licia Giadrossi, segretaria della Comunità di Lussinpiccolo, ha fatto gli onori di casa a nome dell’Associazione delle Comunità Istriane, vista l’impossibilità del presidente Braico a presenziare.
Nella sua relazione introduttiva Renzo Codarin ha specificato come in due riunioni svoltesi nel 2010 (una alla Farnesina, l’altra all’IRCI di Trieste) il sottosegretario agli Esteri dell’ultimo Governo Berlusconi on. Alfredo Mantica avesse detto ai rappresentanti degli esuli che l’Italia non avrebbe bloccato l’ingresso della Croazia nell’UE e che le sarebbe stato difficile non accettare i circa 90 milioni di dollari che Croazia e Slovenia devono pagarle in solido in base all’Accordo di Roma del 1983 quali eredi della Jugoslavia per l’esproprio dei beni della Zona B e dei Monti di Muggia sancito dal Trattato di Osimo. Il Governo non avrebbe fatto con quei pochi soldi una nuova legge di acconto sugli indennizzi, ma onde evitare che venissero impiegati per finalità di cassa (il ministro dell’Economia Tremonti spingeva in tal senso) avrebbe potuto trasferire una cifra analoga per far nascere una fondazione privata volta a finanziare le attività delle associazioni degli esuli. Così aveva fatto il Governo tedesco per alcune delle sue minoranze all’estero. Mantica aveva detto: «Pensiamoci!».
«Allora – ha spiegato Codarin – stavamo aspettando il rifinanziamento triennale della legge 72/2001, che arrivò solo grazie al sottosegretario Letta. Ma quella è una legge che strangola, più che aiutare, le nostre associazioni. Oggi c’è ancora chi aspetta i contributi del 2010. E si tratta di cifre importanti, senza le quali molti nostri giornali chiuderebbero. Nel complesso siamo a un milione e 900mila euro annui».
«Di quelle due riunioni – ha chiarito Codarin – non furono stesi verbali. Alcune delle nostre associazioni, dopo averne discusso all’interno, hanno accettato l’eventualità di una fondazione, dal momento che non siamo in grado di porre veti al Governo sull’incasso dei soldi sloveno/croati e nemmeno di indicargli a chi destinarli. L’Unione degli Istriani si era detta contraria, mentre il Libero Comune di Pola in Esilio aveva manifestato perplessità perché il tema è fumoso. L’ANVGD in un congresso nazionale ha approvato la filosofia della fondazione senza rinunciare a nulla. L’allora sottosegretario Roberto Menia pur senza entusiasmo aveva detto che la fondazione avrebbe potuto essere un’opportunità. Il presidente Napolitano probabilmente ne aveva discusso con Mantica. Io ritengo la fondazione uno strumento affascinante se vogliamo portare avanti per sempre la nostra cultura, la nostra memoria e la storia della nostra civiltà. Se ne è parlato poco in modo ufficiale perché abbiamo più nemici che amici anche all’interno delle istituzioni, benché negli ultimi anni gli amici siano aumentati».
«La legge del 1985 sugli acconti di indennizzo – ha precisato Codarin – moltiplicava per 200 il valore dei beni al 1938. Ai 200 miliardi per la Zona B il Governo ne aggiunse 400 per i territori ceduti. Inoltre allora molti esuli erano ancora in vita, mentre oggi gli assi ereditari suddividono le già magre cifre, di modo che si riducono anche a soli 100 euro a testa. Mantica ci spiegò che, se i soldi di Croazia e Slovenia fossero stati destinati agli indennizzi per la sola Zona B, la cifra sarebbe stata di soli 87 centesimi al metro quadro. I funzionari del Ministero dell’Economia ci garantirono che mai sarebbero andati alla ricerca degli eredi, perché sarebbe costato più che versare gli indennizzi. E poi aspettiamo ancora il saldo della legge del 2001. Le aliquote di rivalutazione dovevano essere portate anche per le grandi proprietà a 350 e il sottosegretario Giovanardi aveva trovato 600 milioni a tal fine, ma il ministro Maroni li usò per la sua riforma delle pensioni. Comunque tutto questo non c’entra con la fondazione. Il Governo Monti sostenne che non vi erano più scuse per non riscuotere quei soldi. Se avesse incassato, avrebbe destinato una cifra per le nostre attività culturali. Così ci dissero di stare pronti nell’eventualità. Allora preparammo una bozza di statuto della fondazione. Il presidente del comitato promotore era il prof. Giuseppe de Vergottini. L’unica volta che sono emerse delle cifre è stato in un incontro con il sottosegretario agli Esteri Marta Dassù. Non si scrissero verbali nemmeno in quel caso, ma noi dicemmo che, per avere una cifra annua simile ai 2 milioni della legge 72, saremmo dovuti partire con un capitale di 60-70 milioni, di cui avremmo usato poi la rendita senza intaccarlo. Con meno non avremmo fatto nulla. Le fondazioni sono soggetti trasparenti gestiti dal Ministero dell’Economia. Della nostra farebbero parte esperti nominati dalla Federazione e dagli altri soggetti utilizzatori della legge 72: in tutto 21 o 22. Questa è la filosofia, il resto sono chiacchiere. Ma il verbale di un’altra associazione parla di soli 8 milioni offerti dal Governo, che non sarebbero sufficienti. Così noi spariremmo e resterebbero solo i “rimasti”. Quella della fondazione è solo un’idea, che io sostengo, ma più se ne parla più i nemici ti boicottano. E poi divisi non faremo nulla. Invece dovremmo prendere esempio dalla minoranza slovena. Comunque noi non rinunciamo all’equo e definitivo indennizzo. Inoltre restano le risultanze della Commissione Leanza sui casi non coperti dai trattati. Ero stato io da presidente della Provincia di Trieste a commissionare lo studio della Commissione Maresca».
«La fondazione – ha detto il presidente dell’ANVGD Antonio Ballarin – è l’unico strumento realisticamente in grado di far proseguire la nostra identità al di là della nostra morte. E’ la cosa più importante. Altrimenti il Tesoro incasserebbe i soldi di Slovenia e Croazia. Si è ricostituita recentemente la Commissione interministeriale per gli indennizzi. Dell’ANVGD siamo in quattro a farne parte, a nome della Federazione. Oltre ai tecnici dei ministeri ci sono poi i rappresentanti dei profughi dalla Libia, dall’Eritrea… Ogni anno vi sono un migliaio di nuove pratiche di rivalutazione. In una riunione informale a parte alcuni ministeriali esperti hanno riconosciuto che lo Stato ci ha buggerato due volte: la prima con gli accordi internazionali, la seconda con le leggi sugli indennizzi. Infatti ci ha corrisposto appena il 5% del valore effettivo dei beni perduti. E’ una violazione dei diritti umani. I profughi dalla Libia hanno incassato di più. Noi vogliamo l’equo indennizzo e non è detto che non si possa mettere mano alla legge di rivalutazione. Ma questo non c’entra né con la legge 72 né con Osimo. Ho fatto una ricerca scoprendo che in realtà alla mia famiglia furono sottratti anche orti e appezzamenti di cui era proprietaria a Lussino. Bisognerebbe lavorare su questi casi, e nella bozza di statuto della fondazione si parla anche di beni».
«La fondazione – ha ribadito Guido Brazzoduro, sindaco del Libero Comune di Fiume in Esilio – non avrebbe implicazioni dirette sugli indennizzi. La legge del 2001 doveva essere quella dell’equo e definitivo indennizzo, ma quando videro i valori decisero che sarebbe stato solo un ulteriore acconto perché le casse dello Stato erano vuote. La rata che la Slovenia dice di aver versato su un conto lussemburghese non risulta. Forse si tratta di una fideiussione o di un impegno a pagare… La Croazia l’ha messa a bilancio, ma non ha nemmeno i soldi per il pane. Né l’Italia, né la Slovenia, né la Croazia vogliono ridiscutere l’Accordo di Roma. L’Italia non ha rivendicato il pagamento un po’ per le spinte, un po’ perché non sapeva di quei soldi, che comunque non sono destinabili agli indennizzi. Il rischio è dunque che lo Stato li incameri senza che agli esuli resti nemmeno un pugno di mosche. Nel clima europeo non si potrà tenere a lungo aperta questa pendenza. La volontà è di chiuderla in modo che non se ne parli più. Croazia e Slovenia vogliono togliersi il problema dei beni, ma il loro ritardo nel pagamento va risarcito. Il Ministero dell’Economia ha la leva in mano. Se FederEsuli si dicesse contraria all’incasso di quei soldi, non avrebbe altre carte da spendere, non otterrebbe ulteriori indennizzi e metterebbe a repentaglio i contributi. Perciò abbiamo manifestato disponibilità a ragionare su una fondazione per sostituire i finanziamenti della legge sulle attività culturali. E’ una situazione molto precaria, in divenire, a fasi alterne, senza certezze. Occorre trovare una fonte di finanziamento che lo Stato possa trovare non difficile».
«Vorrei smentire – ha ripreso Codarin – alcune cose non vere che girano. Ad esempio che FederEsuli non finanzierà più i periodici. È una balla! Semmai non ce la farebbero più senza la legge 72. Già così fanno fatica con questi ritardi paurosi e questo sistema allucinante dei contributi. Vero è che al Ministero ci hanno esortato a fare un giornale unico. Ma così sparirebbero anche le associazioni che i giornali tengono unite. Noi infastidiamo i triestini perché siamo molto divisi. E divisi ai tavoli romani non si porta a casa niente. Le divisioni ci fanno solo del male. Quei soldi di Slovenia e Croazia o finiranno nel mare magno o qualcun altro se li prenderà».
«Osimo – ha affermato Carlo Alberto Pizzi, membro del direttivo dell’Associazione delle Comunità Istriane – riguarda gli indennizzi della sola Zona B, perché fino al 1975 quei beni non erano ceduti. Lo stesso Trattato di pace non prevedeva il passaggio allo Stato dei beni dei territori ceduti. Qualsiasi riunione ministeriale richiede un verbale; sennò non vale niente. Bisogna pretenderlo! A 70 di distanza non sappiamo ancora se abbiamo dei diritti. Dobbiamo accantonare il buonismo. E’ vero che nei rapporti di forza l’unità è fondamentale, ma chi ci rappresenta? Oggi vengo a conoscenza di cose mai dette nel nostro Consiglio direttivo, che deve dare le direttive. Ne discuteremo e decideremo: questa è democrazia. La fondazione è uno strumento, ma non l’unico. Oggi stanno cancellando le fondazioni bancarie perché sono una palla al piede. I soldi di Osimo sono degli esuli, non dei carrozzoni politici. Noi siamo vittime della politica. Siamo stati truffati dai Governi italiani e jugoslavi. Volete truffarci anche voi?».
«Io – ha risposto Ballarin – non sono qui per truffare nessuno».
«Dobbiamo – ha sostenuto Giorgio Tessarolo, figlio di esuli istriani ed ex alto dirigente della Regione Friuli Venezia Giulia – chiedere una completa applicazione dell’Accordo di Roma, indipendentemente da ciò che lo Stato vuol fare con quei soldi: se tamponare il bilancio, destinarli agli indennizzi o alla fondazione. Non vorrei si avesse un timore reverenziale verso le istituzioni. In base all’art. 60 della Convenzione internazionale sul diritto dei trattati, possiamo pretendere la denuncia dell’Accordo di Roma per inadempimento. La Croazia non ha i soldi? Paghi il suo debito in natura con i beni! E’ singolare poi che non vi siano verbali di quelle riunioni: bisogna pretenderli! La fondazione si può fare, ma bisogna valutarne la sostenibilità nel tempo. E poi ci sono i 679 beni in libera disponibilità, che andrebbero restituiti in proprietà. Da parte della Federazione mi sembra non si sia agito con la grinta dovuta».
«In realtà – ha replicato Codarin – abbiamo pochi amici, e i peggiori nemici siamo noi stessi!».
«Una recente sentenza della Corte di Cassazione – ha rilevato Carla Pocecco, del direttivo dell’Associazione delle Comunità Istriane – ha definito non risarcitoria ma di solidarietà la natura degli indennizzi, perché lo Stato italiano non avrebbe causato alcun danno agli esuli espropriati. Mio padre nel 1996 rifiutò un indennizzo di soli 5 milioni per la nostra casa di famiglia a Cittanova. Dobbiamo farci rispettare per un fatto di giustizia verso i nostri vecchi».
«Ringrazio – ha esordito Paolo Radivo, in rappresentanza del Libero Comune di Pola in Esilio – chi ha voluto questa riunione perché ci consente di conoscere e discutere. Ringrazio inoltre chi è intervenuto con spirito costruttivo. Quanto ci hanno riferito i relatori mi ha rinfrancato: l’idea della fondazione è venuta dal Governo, non da FederEsuli; nessuno dei nostri ha trattato sulle cifre o rinunciato a qualche diritto; non vi è alcun legame diretto tra fondazione e indennizzi. Riguardo a quest’ultimo tema vi sono tre distinti piani su cui operare: 1) l’equo e definito indennizzo; 2) i beni in libera disponibilità; 3) le leggi di denazionalizzazione croata e slovena. 1) Lo Stato italiano ha l’obbligo di versare agli esuli espropriati un equo e definitivo indennizzo. FederEsuli dovrebbe quindi richiederlo. Se poi non ce lo daranno o ci verseranno solo un altro acconto adducendo carenze di bilancio, pazienza. E’ una vergogna che finora l’Italia abbia corrisposto solo il 5% del dovuto. 2) L’Accordo di Roma del 1983 stabilisce nei primi tre articoli che i beni, diritti e interessi dei cittadini italiani espropriati nella Zona B del TLT e sui Monti di Muggia sono “considerati come definitivamente acquisiti” dalla Jugoslavia, la quale doveva versare al Governo italiano a titolo di indennizzo 110 milioni di dollari USA dal 1° gennaio 1990 in 13 annualità eguali con accreditamento su un conto intestato al Ministero del Tesoro presso la Banca d’Italia. La Jugoslavia versò le prime due rate prima di sciogliersi, mentre gli Stati successori, Slovenia e Croazia, non hanno saldato le altre 11. Ma questo è un problema che non ci tocca direttamente, perché il debito la Jugoslavia ce l’aveva con l’Italia, non con noi. L’unico articolo dell’Accordo di Roma riguardante alcuni di noi è il quarto, secondo cui il Governo jugoslavo avrebbe lasciato agli aventi diritto in “libera disponibilità” dei beni compresi in un elenco allegato: sono 500 dei territori ceduti e 179 tra Zona B e Monti di Muggia. Ma, salvo eccezioni, quei beni non sono mai stati riconsegnati ai titolari ed anzi sono stati venduti a terzi. Pertanto FederEsuli dovrebbe chiedere al Ministero degli Esteri di aprire una trattativa con Croazia e Slovenia per la loro restituzione in proprietà, visto che la “libera disponibilità” non esiste più nella legislazione di quelle repubbliche. 3) Le attuali leggi croata e slovena sulla denazionalizzazione discriminano ingiustamente nella riacquisizione dei propri beni i cittadini italiani esclusi dai trattati. Dunque FederEsuli dovrebbe chiedere al Ministero degli Esteri di negoziare con Croazia e Slovenia per l’equiparazione degli aventi diritto italiani ai cittadini croati e sloveni. Stiamo parlando di non pochi casi, studiati dalla Commissione Leanza».
«Dopo le pesanti iniezioni di camomilla iniziali – ha esordito polemicamente Renzo de’ Vidovich, direttore de “Il dalmata libero” – è giustamente intervenuto Carlo Alberto Pizzi, già segretario generale di FederEsuli, che conosce bene i problemi. Mantica non aveva proposto la fondazione, ma solo detto che qualcuno si sarebbe potuto fregare i soldi di Osimo. Noi tutti avevamo sostenuto che non si dovevano toccare per non compromettere le cause civili intentate da cittadini italiani esuli contro Croazia e Slovenia. Non pochi Tribunali croati hanno cominciato a dar loro ragione e i Comuni hanno dovuto pagare somme molto consistenti. FederEsuli non deve intascarsi quei quattro soldi di Osimo! Io sono stato direttore di una Direzione del Ministero delle Finanze, dove ho ancora molti amici, buoni patrioti, che mi hanno detto: “Attento che ti stanno fregando!”. E’ un do ut des. Radivo ha stravolto il discorso che FederEsuli ha sempre fatto. Quelli sono soldi intestati agli esuli, anche se il conto corrente era accreditato al Ministero del Tesoro! E’ merito dei dalmati di Trieste aver posto fine al tentativo della cupola di FederEsuli di occultare la verità. Questa riunione è stata indetta solo dopo le proteste di Pizzi».
«Non è – ha replicato Codarin – vero niente! L’avevo già decisa prima, d’accordo con Manuele Braico!».
«La Federazione – ha insistito de’ Vidovich – deve tornare a essere trasparente. E’ una vergogna tenere segreta questa notizia! Sono persone che non rappresentano la base. La fondazione fa ridere: pensate che il Governo tirerà fuori 60-70 milioni?».
«Appunto: stiamo facendo – ha incalzato Codarin – una baruffa sul nulla! Ti presti ai giochi dei nostri nemici! E comunque non è vero che non abbiamo coinvolto la base. Io ho parlato della fondazione al Comitato triestino dell’ANVGD e il congresso nazionale ne ha approvato lo spirito. Le altre associazioni parlino per loro».
«Polemiche a parte, in realtà – ha constatato Radivo – siamo tutti d’accordo sul fatto che la fondazione non esiste e probabilmente non si farà mai perché figuriamoci se il Governo Renzi e i successivi concederanno 60-70 milioni. L’Accordo di Roma dice che l’indennizzo la Jugoslavia lo deve all’Italia, la quale poi può farne ciò che crede. Difatti le leggi di indennizzo sono sempre viaggiate separatamente. Quanto ai ricorsi di cittadini italiani ai tribunali croati e sloveni, dal convegno di Gorizia è emerso che l’esito è stato sempre negativo, salvo che per i beni in “libera disponibilità” o per alcuni casi specifici: non quelli coperti dai trattati».
«Non esiste – ha affermato Fulvio Sluga – alcun obbligo istituzionale a redigere i verbali di riunioni informali. Ne ho avuto esperienza come assessore comunale: gli incontri preparatori con i sindacati non venivano verbalizzati. Lo erano solo quelli al termine del procedimento. Sottoscrivo quanto ha detto Radivo dall’inizio alla fine. Lo Stato potrebbe incassare quei soldi e poi dire di averceli già anticipati. Da un momento all’altro il Parlamento ci ha tolto i soldi dai conti correnti! Non è che se domattina facciamo lo sciopero della fame in Piazza Colonna otteniamo qualcosa. La burocrazia è un muro di gomma».
«Cerchiamo – ha esortato Paolo Radivo – di essere propositivi e uniti, perché è inutile polemizzare sul passato, che non si cambia, mentre possiamo costruire assieme il futuro! Vogliamo fare tutti fronte comune sui tre punti che avevo elencato? 1) indennizzo equo e definitivo (o quantomeno rivalutazione dei coefficienti); 2) beni “liberi” da restituire in piena proprietà; 3) equiparazione dei cittadini italiani aventi diritto a quelli croati e sloveni nei casi non coperti dai trattati. E siamo tutti d’accordo che questi tre punti non devono interferire con la fondazione, se mai si farà?».
Tutta la platea ha applaudito, denotando piena condivisione su questa linea realistica ma priva di cedimenti. Licia Giadrossi ha concluso ringraziando gli intervenuti, esprimendo accordo su tutti e tre i punti e informando che le azioni legali da lei avviate in Croazia per i suoi beni a Lussino hanno avuto esito negativo.
Paolo Radivo