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Fiume, nel 1920 il ”Natale di sangue” (infooggi.it 24 dic)

A distanza di pochi mesi dalla Grande Guerra, gli stessi uomini che avevano combattuto fianco a fianco nelle trincee contro gli austriaci si trovarono in schieramenti opposti. Da una parte i soldati del Regio Esercito dall’altra i legionari fiumani. Italiani contro italiani. Fu un’azione militare piuttosto breve che permise, però, di ribattezzare quell’episodio come “il Natale di sangue” del 1920. Fu lo stesso D’Annunzio a coniare questa espressione per indicare il lasso di tempo in cui infuriò l’impari lotta tra l’esercito e i legionari. La battaglia durò cinque giorni, morirono 22 legionari, 5 civili e diversi soldati del Regio Esercito. Nel gennaio successivo le truppe di Caviglia entrarono a Fiume senza riscontrare l’eccezionale ondata di entusiasmo che aveva accolto l’ingresso in città di D’Annunzio e dei legionari appena quindici mesi prima.

Che cosa ha rappresentato l’esperienza fiumana? Quale eredità ha lasciato dal punto di vista storico, politico e sociale? Anche a distanza di più di novanta anni non risulta facile o scontato dare una risposta soddisfacente ed “equilibrata”. Come spesso accade, un approccio strettamente storico può, senz’altro, aiutare nell’analisi di un fenomeno complesso e “impolverato” dagli anni trascorsi. Nel 1919 Gabriele D’Annunzio organizzò una spedizione di 2.600 legionari, partiti da Ronchi di Monfalcone, con l’intento di occupare la città di Fiume, che le potenze alleate vincitrici non avevano assegnato all’Italia. A Fiume, occupata dalle truppe alleate, già nell’ottobre 1918 si era costituito un Consiglio nazionale che propugnava l’annessione all’Italia,di cui fu nominato presidente Antonio Grossich. L’impresa non trovò nessuna resistenza ma anzi fu accolta con giubilo dalla popolazione.

Dopo la Pace di Parigi, infatti, le potenze vincitrici negarono l’italianità di Fiume e della Dalmazia, innescando l’idea della “vittoria mutilata” che alimentò il malcontento dei reduci e dei nazionalisti, oltre che il risentimento delle popolazioni di quelle terre. Gabriele D’Annunzio riuscì a interpretare questo specifico stato d’animo di una parte dell’opinione pubblica italiana. Una menzione d’onore nell’impresa di Fiume non può non andare, inevitabilmente, al poeta-guerriero. Senza di lui, è molto probabile che questa pagina di storia non si sarebbe mai scritta. Mentre in Italia infuriava lo scontro sociale, nel famoso “Biennio rosso”, D’Annunzio con un colpo di mano d’altri tempi, alla testa di un manipolo di valorosi occupava una città che desiderava, semplicemente, vivere all’ombra del tricolore.

Quando si pensa a Fiume, a Gabriele D’Annunzio, alle terre irridenti dell’Istria e della Dalmazia il collegamento spontaneo e immediato al fascismo appare scontato. Mussolini e il fascismo ricevettero (o se ne appropriarono) in eredità molti aspetti dell’impresa che diverranno capisaldi del regime. Si va dal recupero del passato come mito (la romanità), ai saluti (“Eia Eia alalà!” e “A noi!”), passando per i motti rudi e incisivi. Senza dimenticare i discorsi quotidiani di Gabriele D’Annunzio dalla ringhiera del palazzo di governo che anticiparono i ben più noti discorsi del Duce dal balcone di Piazza Venezia, con cui entrambi i personaggi riuscirono a creare una sorta di legame mistico con la folla. Il fascismo, in sintesi, ripropose su larga scala molti elementi tipici dell’esperienza fiumana. Lo stesso D’Annunzio il 5 ottobre 1920 aderì al Fascio di Combattimento di Fiume.

D’altro canto molti legionari saranno, in seguito, fermi oppositori del regime fascista, tra questi Alceste De Ambris, grande protagonista dell’impresa e ideatore della Carta del Carnaro che morirà esule in Francia nel 1934. Nicola Bombacci e Antonio Gramsci ebbero vari incontri con emissari dannunziani, esprimendo la loro attenzione alla causa fiumana, tuttavia la maggioranza dei dirigenti e dei militanti socialisti si mostrò, irrevocabilmente, ostile all’impresa. Malgrado l’indubbio appoggio fascista all’impresa, l’occupazione fu tutt’altro che un’esperienza autoritaria. Per molti legionari Fiume rappresentò il rifiuto del reinserimento nella società civile dopo i duri anni della guerra e quindi una prosecuzione dell’esperienza bellica. Nonostante l’indiscussa matrice patriottica e nazionalista, l’impresa di Fiume ha rappresentato una contestazione globale al sistema.

Un mix di stati d’animo, concezioni di vita, ideali e utopie. D’Annunzio definì Fiume “Città di vita”: una sorta di controsocietà sperimentale. Un clima di festa continua. Con tutta la cautela del caso, e sottolineando le dovute differenze in molti riconoscono nell’impresa fiumana un 68’ anticipato di qualche decennio. E’ Hakim Bey, teorico della Taz (zone temporaneamente autonome) a scorgere nell’occupazione fiumana il primo modello di Taz. Cui seguiranno, a distanza di anni, il maggio francese, le rivolte urbane nell’Italia degli anni 70, le comuni contro-culturali americane e, più in generale, il situazionismo. Antimperialismo, ribellismo militante, libertà sessuale, pratica del nudismo, culto della beffa e un’originalità e una stravaganza, cercata e ostentata nelle pose fotografiche, nell’abbigliamento e quant’altro: Fiume fu anche questo.

Accanto alla straordinaria figura di Gabriele D’Annunzio si affiancarono altre importanti personalità che raggiunsero la città recando in dote la loro arte e loro cultura o , più semplicemente, le loro idee. Possiamo citare Filippo Tommaso Marinetti, fondatore del Futurismo, Mario Carli, esponente del futurismo più visionario e direttore del giornale “Testa di ferro” , Guglielmo Marconi, Arturo Toscanini, Giovanni Comissi che fondò con il pittoresco aviatore Guido Keller il gruppo Yoga (associazione di “spiriti liberi”, che si opponevano ai valori occidentali, al primato industriale e al dominio della ragione sugli istinti) e l’”uscocco” Guido Di Tanna.

A Fiume, nei mesi dell’occupazione dannunziana, accorsero persone da tutto il mondo, non solo dall’Italia (a testimonianza di uno spiccato carattere “cosmopolita”). Portarono la loro solidarietà all’impresa fiumana personaggi come il poeta ungherese Andor Garvay, il belga Leon Kochnitzky (che curò la politica estera della “Reggenza del Carnaro”), lo scrittore giapponese Harukichi Scimoi. Pare che durante il congresso della III Internazionale comunista, Lenin in persona, con ironia mista a provocazione, avesse stupito i delegati sostenendo che l’Italia avesse un solo e autentico rivoluzionario: Gabriele D’Annunzio.

Si registrò anche un marcato protagonismo femminile. Non mancarono nell’ esperienza fiumana donne come la pianista Luisa Baccara e Margherita Besozzi Keller che lanciò un manifesto delle donne fiumane invitandole ad emanciparsi. Era facile incontrare per le vie della città ragazze e donne in divisa militaresca; come l’irrequieta Marchesa Incisa di Camerano, che scandalizzò con il suo comportamento il socialista Filippo Turati che espresse, in una lettera, il suo disappunto alla compagna Anna Kuliscioff.

Una citazione particolare va alla Carta del Carnaro che venne promulgata l’8 settembre 1920 a Fiume durante gli ultimi mesi dell’occupazione. Nella costituzione fiumana fu affermata la volontà di “far parte integrante dello Stato Italiano mediante esplicito atto d’annessione”. Essa riconobbe ” la sovranità collettiva di tutti i cittadini senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di classe e di religione”. Furono presenti anche rilevanti elementi di modernità che riguardarono la proprietà, i rapporti di lavoro, la condizione femminile, il decentramento amministrativo e l’istruzione pubblica.

Le cannonate dell’esercito regio e gli attacchi degli alpini e dei carabinieri costrinsero i legionari ad abbandonare Fiume. Gabriele d’Annunzio, ferito nell’assedio, il 20 gennaio 1920 rese omaggio ai caduti e partì dalla città tra le urla di disperazione dei fiumani, lasciandosi alle spalle un’esperienza storica tanto discussa quanto irripetibile.

 

Davide Scaglione

www.infooggi.it / 24 dicembre 2011

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