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Fausto Sebeni: si è spento l’ingegnere che scoprì una foiba

Barzanò –  Si è spento all'età di 81 anni, l'ingegner Fausto Sebeni, l'uomo che nel
lontano 1943, in Istria, scoprì una delle foibe dove i partigiani di Tito avevano
gettato 83 persone.
  Il suo macabro racconto era stato anche riportato nel libro scritto da Pietro
Berri «Sei frustate per una rapa».
Sebeni, ingegnere chimico, è deceduto il 5 agosto scorso, accanto a lui le due
figlie Cristina e Lorenza, i due generi, Franco e Fabio e i suoi tre nipoti Chiara,
Paolo e Alberto.
Le esequie del pensionato si sono svolte martedì scorso 7 agosto, nella chiesa di
San Vito, officiate dal parroco don Ivano Colombo. Dopo i funerali la salma è stata
trasportata nel cimitero locale e posta accanto a quella della sua adorata moglie,
Piera Valli, scomparsa nel 2005.
Chi in paese lo aveva conosciuto lo ricorda come una persona molto discreta e
disponibile, appassionato di montagna, di fossili e di archeologia. Abitava in una
bella villetta in via IV Novembre, nei pressi del monumento a Manara, da più di
quarant'anni.
Nato a Gorizia il 4 dicembre (giorno di Santa Barbara come amava ricordare) Fausto
Sebeni aveva vissuto il terribile dramma del ritrovamento di una foiba a soli
diciotto anni.
«Non ne aveva mai parlato con noi – ci dicono le figlie Cristina e Lorenza – per
anni si tenne questo segreto chiuso nel cuore. Solo quando i nipoti cominciarono a
crescere iniziò a raccontare».
Dopo quella sua esperienza in Istria, il padre di Sebeni, che lavorava nella miniera
di Arsi, trovò un nuovo lavoro e la famiglia si trasferì in Sardegna.
«Mio padre tornò in continente dove prese una laurea in chimica – prosegue Cristina
– e iniziò a lavorare nell'azienda chimica Rodiatoce di Villa d'Ossola. Una delle
cose di cui si vantava era di aver partecipato a realizzare il brevetto della colla
«Vinavil» alla quale aveva dato il nome lui stesso. Nel 1955 si era trasferito in
Brianza dove, nella chiesa di Montevecchia era convolato a nozze con mia madre.
Successivamente aveva lavorato alla Montedison che, quando era andato in pensione,
gli aveva consegnato una medaglia d'oro».
Dopo la pensione il poliedrico ingegnere si era dedicato alle sue grandi passioni.
Prima di tutto la montagna. «Aveva una casa in Valtellina – ha aggiunto Lorenza –
dove faceva lunghe camminate e si interessava ai minerali, ai fossili (di cui ha una
grande collezione che vorremmo regalare a un museo della zona), e soprattutto
all'archeologia di quell'area. Nel 1987, quando il paese di Sant'Antonio di
Morignone era stato spazzato via da una frana, lui aveva fatto erigere un cippo, in
memoria delle vittime, sulle vestigia della vecchia chiesa di San Bartolomeo. Per
fare questo si era fatto aiutare dal pittore barzanese Gabriele Luisi e
dall'architetto Mario Saltini».

Micaela Crippa
da Il Giornale di Merate

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