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Come ti scippo (sul web) il personaggio storico

di Emanuele Mastrangelo su "Storia in rete" di gennaio 2008 

Navigando in rete, e soprattutto su quella enorme raccolta di dati enciclopedici che è Wikipedia, scopriamo che per gli internettiani di mezzo mondo gli italiani celebri di Dalmazia… non sono più italiani! “Croatizzati d’ufficio”, hanno cambiato nazionalità poeti, matematici, teologi, filosofi, medici di italianissime origini, lingua e cultura. Tutti personaggi, però che la nostra memoria storica ha rinunciato a rivendicare. E come è ben noto, dopo un po’ di anni, scatta inevitabilmente l’usucapione…

“Marco Antonio de Dominis, filosofo, fisico e vescovo croato”. “Anselmo Banduri, storico croato”. “Marino Ghetaldi, matematico croato”… potremmo continuare (e continueremo) a lungo. Sfiora il ridicolo la lettura di queste righe nelle pagine dell’enciclopedia online Wikipedia. Eppure è proprio così. Una specie di bandiera bianca sventola sulle biografie dei personaggi illustri italiani di Dalmazia ed Istria, occupate manu militari dal nostro piccolo, ma ingombrante (o sgomitante?) dirimpettaio adriatico. La cancellazione scientifica e sistematica delle vestigia italiche in quel lembo di terra perduto dopo mille anni di dominio veneziano, non si arresta solo la pulizia etnica (prima -strisciante- asburgica e poi -palese e sanguinosa- iugoslava), alla distruzione di monumenti e vestigia storiche, alla slavizzazione dei toponimi. Complice un’Italia tremebonda, paurosa perfino di far emettere un francobollo in memoria del libero comune italiano di Fiume, la “bonifica linguistica” procede ora con il potentissimo mezzo della rete globale.
Wikipedia, com’è noto, è l’enciclopedia universale nata sulla rete, aperta ai contributi di tutti, senza distinzioni di sorta, nemmeno di titolo di studio. Le sue pagine -in continua crescita, tradotte in centinaia di lingue e dialetti (esistono, ad esempio, Wikipedie in sardo, còrso, milanese, napoletano, siciliano, latino, esperanto e perfino in una sperimentale “interlingua”)- si propongono, progressivamente, di coprire tutto lo scibile umano. Ciascuna pagina viene creata o per autonoma iniziativa di qualche internauta, oppure perché su una pagina già esistente si viene a creare la necessità di approfondire un collegamento, cosa che prontamente trova volontari disposti a farlo. La redazione delle pagine però non è fissa: chiunque altro può modificare a suo piacimento il lavoro altrui, tanto che alcuni argomenti più scottanti hanno dovuto esser chiusi dai “moderatori” perché erano diventati un vero e proprio campo di battaglia fra fazioni opposte di wikipediani. Più tranquille sono invece le redazioni di quelle pagine che riguardano argomenti poco popolari, a basso tasso di controversia e soprattutto sconosciuti ai più. E tuttavia, propria questa tranquillità si espone ad un vizio d’origine: se la fonte delle informazioni è inesatta (o, peggio, in malafede) la pagina che ne uscirà fuori sarà piena di errori, e nessuno provvederà né a correggerli né a segnalarli ai lettori. Come in ogni luogo -fisico o virtuale- aperto alle regole della democrazia, sono solo coloro che partecipano ad avere la meglio. E chi tace -per accidia, ignoranza o menefreghismo- finisce per lasciar campo vinto a chi è più attivo, più organizzato e più motivato.

Questo è ciò che è accaduto agli illustri dalmati dei secoli passati, moltissimi dei quali “croatizzati d’ufficio” da un drappello di Wikipediani della Pannonia, agguerrito e determinato a far sparire ogni traccia di una scomoda presenza non slava oltre Adriatico. Un drappello altamente efficiente, tanto che la negazione dell’italianità di importanti personaggi finisce per contagiare anche pagine provenienti da altre nazioni. Così Elio Lampridio Cerva (poeta rinascimentale di Ragusa, tanto italiano da spregiare i dialetti nostrani e le lingue slave, da lui definite “stribiligo illyrica”) sulla pagina a lui dedicata dai croati diventa una “Ilija Crijevic”, nome col quale viene anche segnalato nella pagina inglese e in quella serbocroata (già, perché esiste una pagina in croato, una in serbo e una in serbocroato…). E in quella inglese Cerva viene segnalato prima come “Croatian poet” e solo dopo come “Italian poet”. E ancora: Marc’Antonio de Dominis (1560-1624), singolarissimo personaggio originario dell’isola di Arbe, teologo, scienziato e soprattutto due volte apostata e inveterato polemista, diviene nella pagina croata un “Markantun de Dominis” (tradendo proprio nella venetizzazione del nome le sue origini non slave). E ovviamente tutte le altre lingue che trattano la figura di questo prelato lo considerano croato, e non italiano.Stessa sorte tocca al povero Ruggero Giuseppe Boscovich (1711-1787, matematico, fisico, astronomo e poeta raguseo), il quale per colmo della beffa aveva per padre un serbo e madre un’italiana di Ragusa, che viene considerato croato in praticamente tutte le pagine di Wikipedia a lui dedicato, tranne che in quelle italiana e francese. E il suo arruolamento coatto nella repubblica zagrebina è tale che per quattro anni, dal 1990 al 1994 sulle banconote di dinaro croato di ogni taglio era rappresentato Boscovich (ovviamente col nome slavo di Ruder Boskovic). Un po’ meglio va all’architetto zaratino Giorgio orsini, che nella pagina croata viene definito “architetto e scultore croato e italiano”. Bontà loro.

Che però questo processo di snazionalizzazione degli illustri dalmati a beneficio di un popolo alla disperata ricerca di qualche “padre nobile” da esporre nell’album di famiglia sia soprattutto colpa degli italiani, è fuor di dubbio. Non è un caso che i nomi più celebri restino intatti: c’è un limite anche al grottesco, e -almeno per ora- non è sembrato il caso oltre Adriatico di definire grandi architetti rinascimentali Luciano e Francesco laurana “croati”, ancorché nati nell’omonima città dalmata oggi occupata da Zagabria. E lo stesso vale per Niccolò Tommaseo (ricordiamo il suo vocabolario italiano, mica croato o serbo), originario di Sebenico, oppure per il sommo violinista barocco Giuseppe Tartini, che vide la luce a Pirano d’Istria, oggi sotto sovranità slovena. O ancora lo stilista Ottavio Missoni, raguseo ma cresciuto a Zara. Ma dove la nostra memoria storica si ritira, si avvizzisce oppure scolora, ecco che immediatamente avanza quella dei nostri aggressivi vicini. Ai quali neppure si può fare una colpa dell’aver piantato bandiera laddove noialtri abbiamo deciso di ammainarla.

Emanuele Mastrangelo, mastrangelo@storiainrete.com
Da “Storia in rete” di gennaio 2008

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