02.11.2025 – Oggi è il 2 novembre. Si commemorano i defunti, ricordiamo le persone più care che non ci sono più, ma che abbiamo sempre nei nostri cuori.
Indimenticabili e indimenticati: papà, mamma, nonne, amici… parenti che non abbiamo mai conosciuto ma di cui abbiamo sentito parlare con dovizia di particolari dai nostri genitori. Tanti racconti me li faceva la mia mamma su come si celebrava “allora” questa solennità.
Innanzi tutto già da giorni e giorni prima della ricorrenza le tombe venivano perfettamente ripulite, soprattutto dalle erbacce, venivano ricoperte da enormi vasi di crisantemi bianchi gialli ruggine viola… e lumini. Tanti, tantissimi: di notte nei giorni vicini ai “Morti” i cimiteri erano illuminati da infinite lucine tremolanti che davano un senso di magia. Tanto da rinfrescare storie di defunti che uscivano dalle tombe.
C’era in Istria un’antica credenza. Una volta usciti dalle tombe i defunti ritornavano nelle loro case dove venivano lasciati scoperti dei secchi pieni d’acqua perché i defunti vi si potessero dissetare. Per permettere il loro arrivo indisturbati, chi si trovava a camminare per le strade , camminava ai lati, lasciando libero il centro. La tradizione diceva che rientravano nelle sepolture al primo canto del gallo.
In alcuni paesi le campane delle chiese suonavano a morto per tutta la notte. Non solo le tombe ma tutti i cimiteri erano perfetti. Sulle stradine non si trovava un ago di cipresso o una pigna abbandonati, tutto doveva essere ordinato.
Anche per quest’occasione c’era quasi una gara per avere la tomba più fiorita con i rossi lumini più grossi.
Subito dopo i Vespri di Ognissanti, nelle chiese si accendevano lumini e candele che illuminavano un enorme catafalco, impressionante, pieno di simboli mortuari: iniziavano così i Vespri dei defunti. Alla fine si impartiva l’assoluzione al tumulo e si alzava il canto del “Libera me Domine” intonato a più voci, da tutti i fedeli. Usciti, si formava una lunga processione che arrivava al cimitero dove i sacerdoti iniziavano la benedizione di alcune tombe. Sempre al canto del “Libera me Domine” o recitando “Dies irae, dies illa” o il “De profundis”. Le offerte, generose, finivano nel secchiello dell’acqua santa. Nelle cittadine, la benedizione continuava il giorno dopo.
Il 2 novembre, le chiese erano gremite. Ci si confessava e comunicava per ottenere l’indulgenza per i propri defunti, toties quoties, e si assisteva alla Messa. Dopo la fine della Prima guerra mondiale, i sacerdoti potevano “dir messa” solo tre volte. La terza messa era cantata. Il “Dies irae” era cantato da tutti i fedeli secondo l’antico uso, ma si rispettava anche la tradizione che riguardava i “fioi pici”. Si regalavano loro le fave golose rosa marron e crema, squisitezza che si prepara ancora nelle pasticcerie triestine.
Non vado a Orsera dal tempo del Covid, ma per tutti i molti anni in cui mi recavo “a casa” in occasione della Commemorazione dei defunti, entrare nel cimitero era commovente. Ogni tomba era ripulita, anche quelle ancora appartenenti agli esuli, ogni tomba aveva un lumino rosso acceso e un grande vaso di crisantemi gialli. Sulla tomba della mia famiglia ponevo sempre tre piante di ciclamini rossi bianco e rossi a formare con il verde delle foglie un immaginario tricolore.
Nell’anticimitero c’è un monumento, voluto dagli esuli Orsaresi, che li ricorda. Su un muro di cinta, le lapidi delle antiche tombe espropriate a chi non poteva pagare, intorno al 1950, esorbitanti cifre per poter conservare la proprietà della tomba. Chi non è stato in grado di farlo, non ha più ritrovato la tomba di famiglia, i resti dei cari gettati in una fossa comune. Le scritte di quelle lapidi, buttate a terra in segno di disprezzo nell’anticimitero, sono state preservate da un folto spesso tappeto formato, nel corso di decenni, dagli aghi dei cipressi che le sovrastavano. Quelle lapidi ricordano che Orsera era abitata da Italiani, cosa che non sarebbe comprensibile camminando tra le attuali tombe sulla maggioranza delle quali appaiono nomi stranieri che nulla hanno a che fare con i vecchi abitanti di “allora”.
Sul muro di fronte, ho fatto apporre due lapidi. Su una i nomi dei miei dieci cari sepolti nella tomba di Orsera, sull’altra quelli di tutti, mamma papà nonne zii morti in esilio in Patria.
Ora è Don Lino che celebra la Messa nella piccola cappella stracolma degli attuali e dei veci Orsaresi. I canti non sono più quelli che tanti anni fa cantavano i nostri genitori. Ma vengono cantati con lo stesso fervore di una volta, tutti assieme, i rimasti, i nuovi abitanti e gli esuli, uniti nel ricordo dei loro defunti che riposano in quel piccolo cimitero, dalla forma della prua di una nave immersa in quello splendido mare di Orsera.
L’eterno riposo dona loro, o Signore!
Anna Maria Crasti
Esule da Orsera e Vicepresidente ANVGD Milano

