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Barbi risponde a Papo: l’Europa è il nostro futuro

Nel numero del 1. giugno de "La Voce Giuliana", organo dell'Associazione delle Comunità Istriane, la rubrica "La parola ai lettori" ospita uno scritto di Luigi Papo nel quale -tra l'altro- si legge:

"La nostra stampa uniformizzata è troppo spesso senza mordente: sembra, a volte, che tutto vada bene e così ci rallegriamo per la preveggenza dell'onorevole Paolo Barbi, che fu per anni ormai trascorsi al vertice dell'ANVGD, convinto assertore dell'Unione Europea, sola possibilità di risolvere le nostre questioni. Sembrava, allora, che l'ìUnione ci avrebbe ridato il maltolto. Non fu così, non è così e non mi risulta che uno solo di noi sia tornato a casa, se non per un posto al Cimitero."

Il Presidente Onorario dell'ANVGD, on. Paolo Barbi, risponde tramite noi alle affermazioni di Papo.

   "Non mi sorprendo. Conosco Papo da cinquant’anni e non è cambiato. Da accanito nazionalista non ha mai potuto capire nulla del processo unitario europeo e delle prospettive che esso ha aperto alla nostra comunità giuliano-dalmata. Perché per lui "risolvere le nostre questioni" significa una sola cosa: "ridarci il maltolto” (come scrive ancora oggi). Invece noi giuliano-dalmati europeisti eravamo e siamo più che mai convinti che le “nostre questioni" oggi non possono consistere nella "riconquista" da parte dello Stato nazionale italiano dell'Istria, di Fiume e della Dalmazia, ma nella valorizzazione della italianità dell'Adriatico, con i suoi valori culturali, religiosi, civili, umani. E che perciò la questione adriatica non si può risolvere con assurdi, impotenti sogni revanscisti, ma solo con l'evoluzione democratica e pacifica della realtà italiana nel quadro della realtà internazionale ed anzitutto con la realizzazione dell'unificazione dei popoli europei. E tale evoluzione c'è stata, grazie a Dio! E l’Unione Europea è realtà e, benché ancora imperfetta, sta producendo effetti molto positivi.
   Forse Papo non si è accorto, ma nella seconda metà del 1900 i tre vincitori della Seconda Guerra Mondiale – Francia, Inghilterra e Russia – hanno smobilitato i loro imperi, così come sono costretti a rinunciarvi anche i tre sconfitti – Germania, Italia e Giappone. E tutti (anche i vincitori) hanno dovuto subire “esodi” dolorosi, drammatici di moltissimi loro concittadini: non solo l'Italia coi 350.000 giuliano-dalmati (oltre ad alcune migliaia dall'Africa) e la Germania con molti milioni di sudeti, prussiani, ecc., ma anche Francia e Inghilterra dalle loro vastissime colonie. Però poi tutti hanno potuto godere del più lungo periodo di pace che l'Europa ricordi e, per di più, del tracollo del comunismo e dell'espansione delle libertà democratiche in tutto il Continente.
   Oggi le sfide che minacciano la convivenza pacifica e il progresso dei popoli non vengono più dalle “politiche di potenza“ teorizzate ed attuate dai nazionalismi otto-novecenteschi, bensì dalla globalizzazione scientifico-tecnologica e finanziaria-commerciale, e dal terrorismo internazionale. Sfide che nessuno Stato-nazione – per quanto potente economicamente e militarmente, come gli USA – può affrontare vittoriosamente da solo. Occorre proprio quella politica “comunitaria” europea, che è stata razionalmente iniziata fin dagli anni ’50 – secondo i principi e lo spirito di tre grandi leader, cristiani e ”uomini di frontiera”: De Gasperi, Adenauer e Schuman – ed oggi è già abbastanza funzionante, anche se ancora incerta ed imperfetta. Occorre l'organizzazione giuridica e politica di tutta la comunità internazionale – l'ONU, appena abbozzata e ancora priva di efficace – che l'Unione Europea ha il dovere di promuovere e portare a compimento.
   Orbene: é nella consapevolezza di questa realtà – sociale e politica, interna e internazionale, non più conflittuale alla maniera dei vecchi nazionalismi – e nella nostra capacità di usufruire delle opportunità favorevoli alla cooperazione e alla reciproca influenza feconda di progresso, che si possono  “risolvere le questioni" dei giuliano-dalmati. E solo in questa concretezza che ha senso la "politica della comunità adriatica" che l’ANVGD ha il dovere di elaborare e promuovere (e il nostro giornale di "difendere”!) con l’intelligenza rivolta non alla vana rabbia per il doloroso passato, alla costruzione illuminata e coraggiosa di un possibile, migliore avvenire.

                                         Paolo Barbi

Napoli, 19-06-07"

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