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Ballarin a Sergio Romano: «l’occupazione jugoslava preludio di pulizia etnica» – 17lug13

All’intervento di Sergio Romano sul “Corriere della Sera” del 12 luglio scorso, nel quale faceva riferimento alle dinamiche che costrinsero gli italiani della Venezia Giulia all’esodo, replica il Presidente nazionale ANVGD Antonio Ballarin con la lettera che riproduciamo.

Leggo Sul Corriere della Sera del 12 luglio il Suo intervento in risposta alla signora Perucca, profuga fiumana che Le scrive in merito all’ingresso della Croazia nella UE, nel quale Lei esprime alcune considerazioni sulle ragioni della persecuzione da parte degli jugoslavi dell’elemento italiano in Venezia Giulia al volgere dell’ultimo conflitto mondiale e dell’esodo di quella popolazione dai territori di antico insediamento storico.

Premesso che l’Associazione che ho l’onore di presiedere ha diffuso il 1° luglio un comunicato stampa con il quale si esprime l’auspicio che l’entrata di Zagabria nell’Unione possa agevolare anche la tutela delle Comunità italiane rimaste in Istria, Fiume e Dalmazia e il riconoscimento dei diritti degli Esuli, oggetto tuttora di trattative bilaterali, riscontro nella sostanza della Sua replica alla lettrice alcuni degli argomenti solitamente usati da una lettura giustificazionista e molto parziale di quelle pagine drammatiche della nostra storia nazionale. Il nesso causale tra la politica fascista nei confronti delle minoranze slovene e croate (che ripugna alla nostra coscienza di contemporanei) e le successive ondate di violenza sistematica nei confronti della popolazione civile italiana autoctona (ma non solo) è un artificioso postulato utile a sfumare la portata tragica di quel preciso disegno di pulizia etnica compiuta nell’Istria, nel Quarnero e nella residua italianità di Dalmazia perseguito dal regime di Tito.

L’odio etnico si comprende meglio ampliando la finestra di osservazione dei fatti storici partendo della venezianità di quelle terre da ben prima dell’avvento dell’Austria-Ungheria per arrivare alla constatazione della discriminazione perpetrata dai governi jugoslavi e successivi, ai danni della minoranza di lingua italiana, della sua storia e della sua cultura, negli anni post-bellici.

Le ondate di violenza in Dalmazia e nella Venezia Giulia nel 1943 e nel 1945 non rispondevano più ad alcuna esigenza militare. La popolazione italiana non alimentava nessuna guerriglia o contro-guerriglia, né era minimamente in grado di farlo, sia nel settembre 1943, nel vuoto totale di ogni struttura militare italiana, sia nel 1945, dopo due anni di occupazione tedesca, spesso sofferta allo stesso modo delle popolazioni slave (arresti degli italiani appartenenti alla Resistenza, deportazioni in Germania, fucilazioni, bombardamenti aerei alleati). Nel piano jugoslavo l’occupazione del territorio (peraltro proclamato unilateralmente annesso alla Federativa ben prima di qualsivoglia trattativa di pace) doveva essere il preludio alla rivoluzione politica che avrebbe instaurato il nuovo sistema di potere di modello staliniano. L’eliminazione fisica e la messa in condizione di non nuocere doveva quindi investire tutti i «nemici del popolo», dai nemici di classe (proprietari terrieri, industriali, dirigenti d’azienda), agli ufficiali delle forze armate ai componenti dei corpi di polizia, ai nemici ideologici (liberali borghesi, socialisti non allineati, intellettuali filo-inglesi o filo-monarchici, dirigenti e sacerdoti), finanche ai contadini cui venne imposta la collettivizzazione forzata.

La storiografia contemporanea in materia ci rivela come gli eccidi vadano inquadrati nel quadro di analoghe operazioni di epurazione degli avversari eseguite o tentate nel resto d’Italia e nel resto d’Europa (Ucraina, la Polonia, Paesi Baltici, Romania, Ungheria, Germania orientale del 1945), dove erano arrivate o potevano affermarsi le armate comuniste. E si pensi quindi come le stragi di fascisti e di altri oppositori nel Veneto, in Emilia, in Romagna proseguirono nelle settimane e nei mesi successivi al 25 aprile 1945, così come le violenze contro le comunità italiane nella Venezia Giulia o i prigionieri italiani nei campi jugoslavi proseguirono ben oltre la fine del conflitto.

Gli esuli italiani hanno pagato con i loro beni immobili e le loro imprese (solo parzialmente risarciti in sei decenni dallo Stato italiano) i debiti di guerra dell’Italia all’ex Jugoslavia, ma questa Associazione e la Federazione delle Associazioni degli Esuli hanno espresso la comune speranza che l’inclusione della Croazia nella UE la induca anche al rispetto della memoria storica e culturale dei territori sui quali oggi esercita la sovranità.

Le chiedo, egregio Ambasciatore, la pubblicazione della presente lettera, anche in sintesi significativa.

Antonio Ballarin, presidente nazionale ANVGD

 

 

 

Partigiani di Tito nel 1943

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