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Balcani, rientro dei profughi: missione impossibile (Voce del popolo 23ott13)

Il rientro dei profughi è sempre un processo difficoltoso. Con il passare degli anni, se non vengono fatti presto dei passi avanti, diventa quasi una sorta di missione impossibile. Il caso dei profughi serbi fuggiti dalla Croazia in seguito agli eventi bellici dei primi anni Novanta è emblematico. A quasi due decenni di distanza dall’esodo molti hanno fatto rientro, ma i più sono rimasti nei Paesi in cui avevano trovato rifugio. A rientrare sono state soprattutto le persone anziane, che non avevano nulla o quasi nulla da perdere. Anzi potevano ottenere la pensione a cui avevano diritto.
Per i più giovani il discorso è diverso: il clima d’insicurezza che si respira ancora nelle aree devastate dal conflitto, la mancanza di prospettive, di un impiego fa sì che il rientro avvenga con il contagocce. Anzi in pratica è un fenomeno in via di esaurimento completo. A complicare la situazione vi è il fatto che le zone interessate dal conflitto erano già prima degli eventi bellici delle aree depresse. Ragion per cui per creare le condizioni non soltanto per un rientro sostenibile, ma anche per trattenere sul posto quanti nonostante le difficoltà sono tornati ai loro focolari, è indispensabile il sostegno dello Stato e la collaborazione fattiva delle autorità locali. Ne parliamo in un’intervista a Milan Tankosić, vicesindaco di Gračac.

Il processo di rientro si è concluso, oppure ci sono ancora determinate possibilità di favorire il ritorno dei profughi ai propri focolari?

Credo che il processo di rientro delle persone fuggite dalla Croazia sia destinato ad affievolirsi sempre di più, nel senso classico del concetto. Nel contempo, la migrazione non si fermerà, per cui i cittadini che hanno lasciato la Croazia, che hanno ottenuto asilo e la cittadinanza degli Stati in cui sono approdati, ma che al tempo stesso hanno ottenuto anche la cittadinanza croata, sfrutteranno il fatto che la Croazia sarà un membro dell’UE. Tanto più che esisteranno anche possibilità di finanziare proprio le zone rurali da cui molti sono fuggiti. Ciò favorirà uno sviluppo più veloce, per cui anche il ritorno in tali aree sarà maggiore. Naturalmente, è chiaro che alcuni degli abitanti più anziani continueranno a ritornare nelle proprie zone di origine, per ridurre il costo della vita e “liberare” spazio per le generazioni più giovani delle proprie famiglie. Uno dei motivi più forti, però, è l’amore per il suolo natio, la nostalgia della propria terra.

Come migliorare la qualità del rientro?

Per realizzare il rientro bisogna assicurare le condizioni socioeconomiche necessarie perché la gente che rientra possa anche rimanere nelle proprie località. L’UNHCR ha fatto ciò che ha potuto; però hanno fallito sia le amministrazioni locali sia quella statale. Al blocco hanno contribuito soprattutto le condizioni economiche sfavorevoli e le zone di per sé sottosviluppate. Non ci sono stati reali investimenti perché ci sono barriere burocratiche e complicazioni amministrative, che richiedono molto tempo per essere superate. Le questioni legate alla proprietà sono irrisolte, nel senso che non sono chiari i rapporti legali privati né quelli pubblici.
Un problema aggiuntivo è rappresentato dalla cattiva gestione della privatizzazione e dalla liquidazione delle aziende che erano presenti sul territorio. In tal senso, sono più numerose le cose “arraffate” di quelle privatizzate e rivitalizzate. In condizioni di mancata riorganizzazione di tutta la catena di produzione, dall’agricoltore al mercato, l’attività agricola semplicemente non può più garantire il sostentamento nemmeno dei primi profughi rientrati, per non parlare di quelli successivi, perché questa produzione è insicura e troppo sbriciolata. Si potrebbe dire che l’unica cosa “viva” sul territorio sia l’amministrazione statale, il settore pubblico e le sue aziende. Qui non esistono quasi possibilità di assunzione di appartenenti alle minoranze, per cui nemmeno dei rientrati, sicché questo fatto funge da deterrente sia per il ritorno sia per chi voglia rimanere.

Come si svolge concretamente il ritorno nella sua comunità locale?

Nella mia comunità a ritornare sono state soprattutto le persone anziane, per varie ragioni. La prima è che sono abituate alla vita nella propria zona e amano la propria terra; quasi tutte percepiscono la pensione e sono economicamente indipendenti, Inoltre, qui il costo della vita è minore. In secondo luogo, i giovani che vorrebbero ritornare non hanno occasione di trovare un impiego e, laddove ce ne sia la possibilità, vengono discriminati al momento dell’assunzione. La terza ragione è che è passato troppo tempo dall’esodo e molti si sono adattati a vivere negli Stati che hanno loro dato asilo. Al quarto posto c’è il fatto che molti giovani non possono o non vogliono sopportare la pressione psichica del continuo ritornare al periodo di guerra, agli insulti e alla discriminazione che, purtroppo, è ancora messa in atto da alcuni media.

Le comunità del ritorno vengono bloccate nel loro sviluppo?

A causa dei problemi già elencati è evidente che queste zone sono frenate nel loro sviluppo. Semplicemente, non ci sono più elementi a sufficienza per uno sviluppo adeguato, perché il fattore umano, il più importante, risulta deficitario. Il livello d’istruzione globale è piuttosto basso, l’età media è avanzata, le potenzialità di investimento sono ridotte all’osso. Tutto ciò crea il “circolo vizioso della povertà” in cui ci muoviamo continuamente e dal quale è difficile uscire. Perciò questa comunità offre assai poco allo Stato e, di conseguenza, riceviamo pochissimo indietro.
Non sono molti i cittadini che hanno ristabilito la loro residenza sul territorio, non ci sono grandi contribuenti fiscali, per cui nemmeno le autorità dimostrano molto interesse per queste zone della Croazia. Solamente quando serve il supporto politico di queste zone, si gioca sulla carta del patriottismo, delle incomprensioni e delle discordie etniche e così via. Pochi fanno menzione di programmi di rivitalizzazione economica. Solamente il partito minoritario serbo ha nel suo programma i problemi specifici inerenti al ritorno.

La comunità di maggioranza e la società nella sua interezza sono consapevoli di questo handicap?

Credo che la comunità non sia consapevole dell’handicap derivante dal mancato rientro dei profughi. Solamente un piccolo gruppo di persone è cosciente di tutti i problemi del ritorno e sa che questi sono la causa principale del mancato sviluppo di queste terre. È importante che i diversi soggetti sociali (sia la politica sia i media e il settore sociale) operino di continuo per innalzare la coscienza sull’importanza di questo problema. Ogni diversa corrente di pensiero è mal disposta sia verso il territorio sia verso le persone che qui vivono o vorrebbero vivere. Si tratta di un territorio che è sistematicamente discriminato, bloccato e devastato: non è un problema a sé ma diventa un peso per tutta la società.

Come cambiare?

La situazione attuale non è facile da cambiare e se si vogliono ottenere almeno in parte dei risultati serve l’impegno di tutti i fattori che possono avere un’influenza sul campo. I mass media devono modificare il loro approccio al problema ed essere un po’ più obiettivi. Naturalmente, bisogna lavorare per la rappacificazione tra le varie comunità etniche, per la comprensione reciproca. Lo Stato deve fare ciò che può con i mezzi che ha a disposizione, cioè portare a termine il processo di ricostruzione; assicurare una presenza più consistente delle agenzie di sviluppo; mettere in piedi alcune zone commerciali e attivare laboratori in campo economico, in collaborazione con le autorità locali.
In un certo qual senso, lo Stato deve incentivare il rientro delle persone con un livello d’istruzione più elevato. La comunità internazionale deve sostenere questo processo, ma spetta a noi il compito di metterlo in atto con più decisione. È molto importante che la gente “senta” che il clima è sempre più positivo, che inizi a credere nel futuro della Croazia come uno Stato sviluppato e sicuro. In questa maniera, anche loro stessi saranno più sicuri nello svolgimento delle proprie attività imprenditoriali e sociali.

Stojan Obradović
“la Voce del Popolo” 23 ottobre 2013

 

 

 

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