ANVGD_cover-post-no-img

Avvenire – 060707 – Turcinovic, il sacerdote che sfidò Tito

di Antonio Giuliano

Una voce nel buio. Quello di un regime che  cercava in tutti i modi di soffocare la parola di Dio: ma non ci  riuscì. Perché non sono cadute nel vuoto le parole di Josip Turcinovic
(1933-1990), intellettuale e sacerdote croato, figura di spicco dell'evangelizzazione al tempo dell'ex-Jugoslavia. Se il seme della buona novella ha attecchito in una terra allora ostile al messaggio di Cristo, lo si deve soprattutto all'opera di questo eminente filologo e teologo. Erano gli anni del post Concilio quando Turcinovic, insieme ad altri studiosi, fondò a Zagabria la rivista Svesci («Quaderni»). Fu solo il primo frutto di un'impresa editoriale che avrebbe scalfito il muro di silenzio imposto dal comunismo jugoslavo. Presto sarebbe nato il Centro di ricerche, informazioni e documentazione conciliare, più noto come Attualità cristiana. Un'oasi di fede nel deserto imposto dal regime: negli anni le pubblicazioni dirette da Turcinovic varcarono i confini jugoslavi per rispondere alla sete di spiritualità di tutti i popoli dell'Europa orientale prigionieri del comunismo. Turcinovic aveva una capacità non comune nel saper coniugare la sua erudizione con un annuncio semplice e diretto per chiunque. Prova ne è il volume Una voce dalla cappella di Gesù ferito (Jaca Book, pagine 158, euro 14,00), che raccoglie una serie di omelie pronunciate da Turcinovic a Zagabria, nella cappella di Gesù ferito, un luogo che lui amava come nessun altro. Qui gli si stringeva intorno gente di ogni età, di professione e cultura differenti, bramando di ascoltare una parola diversa per la propria vita. Turcinovic esaltava la novità del cristianesimo: «Tutte le religioni parlano costantemente dell'uomo alla ricerca di Dio.
Le Sacre Scritture dicono paradossalmente l'opposto: è Dio alla ricerca dell'uomo, come affermano tutte le parabole di Gesù». L'immagine che il teologo croato richiamava spesso era quella di un Dio che con Gesù si era chinato sull'uomo sconcertato e sofferente, come il popolo jugoslavo. Al termine del secondo conflitto mondiale i partigiani comunisti di Tito (1892-1980), avevano cominciato una lotta spietata contro le attività religiose. Fu creata l'Ozna, la polizia segreta comunista, che arrestò, fece processare e condannò a morte migliaia di cittadini, colpevoli di non simpatizzare con il nuovo regime ateo.
Molti sacerdoti cattolici e alcuni vescovi, furono imprigionati e uccisi. Esemplare la vicenda dell'arcivescovo di Zagabria Alojzije Stepinac, beatificato da Giovanni Paolo II nel 1998. Costui fu uno strenuo difensore della libertà religiosa contro il regime di Tito. Josip Broz, questo era il vero nome del dittatore jugoslavo che aveva assunto il soprannome di battaglia «Tito», probabilmente perché usava spesso la locuzione «ti to» (in serbocroato "tu questo") per impartire gli ordini ai suoi uomini. Tito chiese più volte all'arcivescovo Stepinac di staccarsi da Roma e di creare una Chiesa nazionale croata.
Il rifiuto del presule fu duro e fermo. Si scatenarono così le persecuzioni contro la Chiesa cattolica: furono assassinati i vescovi di Dubrovnik e Krizevci; condannato a dodici anni di carcere quello di Mostar, arrestati quelli di Veglia e Spalato; espulso da Zagabria l'inviato speciale del Vaticano; condannati a morte senza processo 369 sacerdoti; confiscati i beni della Chiesa. La furia del regime si abbatté sull'arcivescovo Stepinac che aveva fatto anche pubblicare una lettera collettiva dell'episcopato croato in cui si denunciavano le ingiustizie subite dalla Chiesa. Stepinac fu arrestato sulla base di un processo farsa e condannato ai lavori forzati. Rinchiuso in totale isolamento e sorvegliato notte e giorno dalla polizia, Stepinac morirà nel 1960 in seguito ad una malattia contratta in carcere. Nel 1953 papa Pio XII lo aveva creato cardinale, disapprovando pubblicamente il
regime che gli impediva di recarsi a Roma. Tito ruppe ogni rapporto con la Santa Sede: cominciò così anche in Jugoslavia la Chiesa del silenzio, tipica dei Paesi comunisti. Anche Josip Turcinovic, dalla sua cappella di Zagabria, denunciava spesso il male degli uomini, «la cui tentazione principale è quella di essere continuamente "dio" su qualcuno. Questa è la radice di tutti i peccati». Ma invitava al perdono: «Se non perdoni al fratello, il suo peccato rimane nel tuo cuore come un male. Perdonando purifichi almeno il tuo cuore». Spronava i fedeli a credere nella «sfida» del Vangelo e a sentirsi con le "spalle coperte": «Viviamo forse con le nostre forze? Viviamo con la forza del volere di Dio, viviamo del fatto che alle nostre spalle c'è Dio». In un'omelia del 1989 invitava profeticamente a scorgere i segni per continuare a sperare: «In questi giorni si svolgono avvenimenti tali, per i quali credevamo che dovessero passare secoli». I credenti della cappella di Gesù ferito sarebbero diventati nel tempo una comunità, una famiglia sempre più grande. La gramigna comunista non l'avrebbe spuntata sul seme piantato da Josip Turcinovic.

0 Condivisioni

Scopri i nostri Podcast

Scopri le storie dei grandi campioni Giuliano Dalmati e le relazioni politico-culturali tra l’Italia e gli Stati rivieraschi dell’Adriatico attraverso i nostri podcast.