La morte di Giulio Andreotti, alla veneranda età di 94 anni, priva la Repubblica italiana di uno dei suoi fondatori e l’Italia, comunque la si pensi politicamente, di un uomo che ne ha fatto la Storia.
Andreotti ebbe molti contatti con le nostre comunità di Esuli. A Roma fu presente più volte al Quartiere Giuliano-Dalmata ed ebbe rapporti anche con Padre Flaminio Rocchi. Il francescano nelle sue memorie lo cita più volte come autorità che autorizzò la copertura definitva della Foiba di Basovizza nel 1959 e a lui indirizzò nel 1998 una missiva durante il processo Pecorelli, per il quale Andreotti fu imputato dell’omicidio del direttore del settimanale politico O.P. Questo il testo della lettera.
“Sto seguendo con rabbia e sofferenza il Suo processo. Un giorno dicevo a un amico che se fossero vere le accuse contro di Lei, Dio dovrebbe creare un inferno speciale per Lei. Perché un uomo con la Sua cultura non può prendere la mattina l’eucaristia e il pomeriggio uccidere il prossimo.
Il signor Pecorelli, alcune settimane prima di morire, mi telefonò chiedendomi un articolo sulle foibe istriane per la sua rivista O.P. Risposi che non conoscevo la rivista. Mi mandò due copie. A una sua ulteriore telefonata risposi che la rivista non mi interessava. Rilevai, infatti, dal tono degli articoli che il Pecorelli andava in cerca di scandali.
Mi richiamò quindici giorni prima di morire. Gli confermai che io mi interessavo delle foibe esclusivamente sotto l’aspetto umano. Non era mia intenzione promuovere iniziative né politiche, né giudiziarie.
La mia preghiera francescana, caro Senatore, nella certezza di leggere presto sui giornali: Andreotti assolto perché il fatto non sussiste.”
Ma Padre Rocchi morirà senza aver conosciuto l’esito del processo. Solo quattro mesi dopo la sua dipartita la Cassazione assolverà definitivamente Andreotti dalle accuse mossegli dai suoi delatori.
Il giovane sottosegretario Andreotti con la signora De Gasperi
all’inaugurazione del Villaggio giuliano di Roma (foto archivio De Angelini)