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Ancora su Istria e Dalmazia (Giornale di Brescia 18 apr)

LA REPLICA

Mi riferisco alla lettera del signor Lamberto Lombardi, pubblicata il 6 aprile. Vi colgo delle incongruenze e, profugo dalmata essendo, mi sia consentito di replicare.

Egli scrive: «Che il tutto sia esploso dopo un'aggressione bellica di occupazione e annessione territoriale su base razziale non viene citato, per il sig. Toth è, evidentemente, un dettaglio trascurabile» . Il Sig. Toth, per la verità, ha scritto: «… nessuno ha mai negato che siano stati commessi crimini di guerra contro le popolazioni civili sospettate di collaborare con i partigiani». Dove sta la trascurabilità del dettaglio? Sfugge, peraltro, alla comprensione del mortal lettore il senso della locuzione «annessione territoriale su base razziale». O meglio il nesso fra il primo sintagma nominale ed il secondo, che il Lombardi ha ritenuto di coniugare.

Preso dalla vis polemica, l'autore della nota ha giudicato opportuno allargarsi e, sedendo a scranna, s'è piccato di impartire lezioni di senso civico. Cito. «Dopo il 25 aprile ognuno di noi fu chiamato a riflettere su quale fosse stato il proprio contributo all'una o all'altra parte ma chi non fu vittima fu carnefice, chi non fu antifascista fu fascista. Anche il sig. Toth sembra sfuggire questa riflessione da allora e noi gliela riproponiamo» .

Non poteva mancare, nell'intervento del Lombardi, va da sè, il richiamo al valore sacrale della Resistenza. E tuttavia non sembra pertinente al tema. Le sue pagine limpide sono tante, così come, «… con il Pci la guerra di liberazione è diventata anche una guerra rivoluzionaria, per la conquista del potere in Italia. E questo progetto eversivo ha autorizzato un succedersi di errori, di menzogne, di intrighi, di soprusi, di delitti e di misteri: tutta robaccia occultata da una storiografia succube degli interessi di quel partito» («I gendarmi della memoria» di G.Pansa, pag. IX ).

Cito. «Perché l'enormità di quello che accadde in quegli anni non fu retaggio di ciò che accadeva nella testa di pochi gerarchi ma cominciava nel privato di tutti quei milioni di cittadini ben disposti a che altre popolazioni o gruppi di persone pagassero con la vita per il desiderio di ordine e di possedere terre altrui dei bravi italiani…»

Sembra, lì per lì, che egli voglia riproporre su due colonnine di giornale altro trattato sul fascismo. O, quantomeno, pare voglia negare che l'organizzazione del consenso si esercitasse sistematicamente, quotidianamente, per mezzo della stampa, del cinema, della radio, per non parlare della scuola. Che un posto decisivo nell'organizzazione del consenso avessero anche i sindacati, il cosiddetto «dopolavoro» e tutta una serie di iniziative di tipo sociale, sportivo, ricreativo. Egli dà ad intendere, al colto ed all'inclita, che avrebbe saputo, seguendo i dettami dei precordi, opporsi all'andazzo generale. Se il Prof. G. Salvemini per non «vendere l'anima al partito dominante» e per non intrupparsi, conseguentemente, nella «moltitudine di sudditi disarmati», rinunziò alla cattedra universitaria, il Lamberti e sodali, minoranza del popolo bue, si sarebbero opposti molto più fattivamente ad Organi dello Stato, impedendo le dichiarazioni di guerra alla Francia, alla Gran Bretagna, alla Grecia, alla Jugoslavia. Il periodo sopra riportato ha l'aria di rappresentare «contradictio in terminis», se rapportato al successivo: «Il consenso attribuito al nazismo ed al fascismo fu amplissimo proprio perché amplissima fu la condivisione di quello che venne programmato e fu fatto».

Cito. «Questi processi non vennero fatti per la realpolitik sopravvenuta alla fine del conflitto, mi sembra allora quantomeno inelegante che questi amnistiati ora alzino la voce per chiedere una compassione che essi non sentono per nessun altro che per se stessi». Il periodo configura volo pindarico. Non essendo stato all'epoca dei tragici eventi né ufficiale né soldato del Regio Esercito, per ragioni anagrafiche, il sig. Toth non può essere ricompreso nella categoria degli amnistiati.

Il signor Lamberti in chiusura afferma e domanda: «A proposito, le violenze del dopoguerra non furono limitate solo all'Istria ed alla Dalmazia, in Grecia gli Inglesi tra il '45 ed il '47 repressero la rivolta popolare al costo di duecentomila morti. Erano comunisti anche i britannici?». Tirato per la giacchetta, pongo a mia volta pleonastica domanda. Le rivolte popolari nell' Ungheria di Nagy (1956) e nella Cecoslovacchia di Dubcek (1968) furono soffocate nel sangue, coll'intervento militare disposto da Paese fratello: era comunista?

Walter Matulich, CHIARI

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