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A proposito delle divisioni nel mondo dell’esodo

Riportiamo l'intervento di Carmen Palazzolo Debianchi, della Comunità Chersina aderente all'Associazione delle Comunità Istriane, apparso sul sito del CDM www.arcipelagoadriatico.it il 20 settembre.

 

Dopo più di sessant’anni dall’inizio dell’esodo dall’Istria, da Fiume e dalla Dalmazia gli esuli sopravvissuti sono ancora in conflitto fra loro.
E per “sopravvissuti” intendo il fatto che, essendo la gran parte degli esuli veri e propri deceduti, coloro che attualmente sono attivi nell’associazionismo dell’esodo e che si occupano delle sue problematiche, a parte una minoranza di 70/80enni, gli altri non sono esuli ma i loro discendenti, cioè i loro figli e nipoti che, raccolto il testimone dei genitori e dei nonni ne portano avanti il messaggio, e dovrebbero farlo, a mio avviso, con “memoria purificata”, cioè con amore per la propria terra di origine purificato dall’odio per i torti subiti, che vanno consegnati alla storia. E se questa operazione di “purificazione” non è avvenuta, forse il mandato non è stato trasmesso e/o accolto nel modo giusto o gli interessi in gioco sono diversi.
Fatta questa premessa, possiamo ritornare ai dissensi fra gli esuli per riflettere se le nostre divergenze e divisioni non siano, almeno in parte, responsabili del lungo silenzio, anzi, sarebbe meglio dire della rimozione, operata sulla nostra storia da tutta l’Italia della politica e della cultura fino ai nostri giorni; e per pensare quanto questi dissensi e divisioni abbiano influito anche sulla soluzione di altri problemi, come il riconoscimento dei perseguitati dal regime titino e la soluzione del complesso problema dei beni abbandonati. E il disaccordo non riguarda soltanto le problematiche irrisolte del passato ma si proietta anche sull’avvenire e investe i rapporti coi rimasti, ogni tentativo di conciliazione e qualsiasi argomento inerente l’esodo e le sue conseguenze. La cosa non stupisce perché ogni persona ha le sue opinioni ed ha il diritto di esprimerle e sostenerle in un civile confronto con gli altri. Questa è la democrazia. Quando però questo civile confronto, che presuppone il rispetto per le idee degli altri, anche se sono diverse dalle nostre, non c’è e si pretende di  assimilare alle nostre idee, come le uniche giuste, le idee degli altri, si tratta di intolleranza. E l’intolleranza denota arroganza, oltre che esprimere, a mio avviso, il fatto che chi la manifesta non ha interiorizzato il vero spirito della democrazia, che è, appunto,  rispetto per gli altri e per le loro idee. A causa di quest’antidemocratica intolleranza, nelle nostre associazioni la diversità delle idee ha sempre provocato astensioni, dimissioni, scissioni, formazione di nuovi gruppi.
Dunque se è vero, ed è vero, che gli esuli, e quindi le loro associazioni, hanno idee diverse su tante questioni che li riguardano, come possono pretendere di ottenere i giusti riconoscimenti che li riguardano dai governi interessati, dal mondo della cultura, dall’opinione pubblica. E quale sarà il diritto/riconoscimento che  questi governi dovranno concedere: quello sostenuto dall’Unione degli Istriani, quello caldeggiato dall’ANVGD o quello portato avanti dall’Associazione delle Comunità Istriane?
Un esempio macroscopico di queste divisioni l’ha dato negli ultimi anni la Federazione delle Associazioni degli esuli che, dopo un avvio positivo, che sembrava finalmente aver dato una risposta alle esigenze politiche e pratiche di coesione del mondo della diaspora, perché univa tutte le grandi associazioni degli esuli: Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, Unione degli Istriani, Associazione delle Comunità Istriane e Liberi Comuni di Fiume, Pola e Zara, ha subito cominciato a disgregarsi col ritiro dell’Associazione delle Comunità Istriane. Questa però, poco tempo dopo essersi ritirata, cambiato Presidente, chiedeva di rientrare nella Federazione senza però ottenere neppure una risposta. Il fatto indusse l’Associazione a costituire con l’Unione degli Istriani il Gruppo di Coordinamento degli Esuli Istriani (CoEsI).
La disgregazione e la confusione, consentitemi di dirlo, ha raggiunto il culmine negli ultimi mesi col riaccoglimento nella Federazione, anche qui dopo un cambio di Presidente, dell’Associazione delle Comunità Istriane ma, contemporaneamente, ne davano le dimissioni l’Unione degli Istriani e il Libero Comune di Pola.
Questi fatti non possono che generare confusione al nostro interno e danneggiare la nostra immagine e farci perdere credibilità all’esterno.
La situazione ha generato dubbi e perplessità anche nella maggioranza dei consiglieri dell’Associazione delle Comunità Istriane, chiamati a decidere se rientrare nella Federazione delle Associazioni degli Esuli, rimanere coi CoEsI o essere indipendenti. Nonostante il lungo e animato dibattito il consiglio, svoltosi il 25 giugno unicamente sull’associazionismo degli esuli, non riusciva a prendere una decisione. Alla fine un consigliere ha proposto di mettere ai voti una mozione in cui il consiglio dichiara di non essere in grado di operare una scelta consapevole perché non possiede le informazioni necessarie sul futuro dell’associazionismo. Al fine di acquisirle, chiede al presidente Lorenzo Rovis di invitare i rappresentanti delle maggiori associazioni degli esuli a partecipare ad un incontro per conoscere le loro idee ed orientamenti sull’argomento.
La mozione ha riportato 28 voti favorevoli, 2 contrari e 2 astenuti.
Personalmente penso che bisogna, assolutamente, ricomporre l’unità del mondo dell’esodo, al di là delle denominazioni, nel nome della nostra comune terra di origine, della sua storia millenaria e di tutto quanto ci unisce, superando ciò che ci divide, nel rispetto verso i perseguitati, gli infoibati, gli esuli deceduti senza ottenere giustizia,… e senza dimenticare che le associazioni degli esuli sono sorte in funzione e per il servizio degli esuli  e che l’unità è necessaria in quanto funzionale alla soluzione delle questioni ancora irrisolte.

Carmen Palazzolo Debianchi

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