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30 gen – Da Genova a Fiume l’avventura dell’ultimo corsaro

da www.ilgiornale.it

Il 10 febbraio ricorda l'esodo dei giuliano-dalmati. L'Affare Persia può introdurre riguardo Fiume quelle lontane vicende. Nel 1919 il genovese Antonio Sulfàro dirottò il piroscafo Persia, carico d'armi, portando a d'Annunzio aiuto decisivo nell'impresa fiumana e, nell'abbracciarlo, il vate pianse.

L'azione «da commando» come la definisce Vasco Vichi in Antonio Sulfàro, L'ultimo corsaro del Mediterraneo (Chiaramonte Editore) fece resistere i legionari tutto il 1920 gettando le premesse per l'internazionalizzazione di Fiume e il passaggio – nel '24 – per vent'anni all'Italia.

La città, italiana per tradizione e maggioranza di popolazione, era stata la Tarsatica romana, nel 1200 finì sotto il Vescovo di Pola, poi sotto i signori di Duino, poi i Frangipane, poi gli Asburgo. Con Maria Teresa fu «corpo separato» d'Ungheria, riconoscendo la secolare autonomia. Nel '41, dissolto l'esercito slavo, le fu annessa Sussak, la campagna oltre al ponte sulla Fiumara che dava il nome alla città. Le spese italiane per le strade in un anno superarono i quattro milioni. Quando gli italiani di Fiume optarono per l'Italia, «gli slavi di Sussak restituirono i benefici rapinandoli senza pietà: era finita la guerra ma continuava la civiltà delle foibe» (Amleto Ballarini in L'olocausta sconosciuta, vita e morte di una città italiana). Diverso l'oggi e in superamento, ma ricordare è un dovere.

Sulla vicenda del Persia, che diede fama a Sulfàro, il libro di Vichi riporta solo un saggio di Luciano Garibaldi per «Storia Illustrata», mentre pubblica i Quaderni di bordo di Sulfàro nel 1904/5 durante la guerra russo-giapponese, sull'incrociatore corazzato Marco Polo, nave ammiraglia della Divisione Oceanica Italiana. Partì da Taranto il 10 marzo 1904 «per difendere il diritto del più debole e l'onore della Patria». Nel 1905 l'equipaggio, con base a Shangai, impegnato in servizi d'ordine pubblico, fu molto elogiato, nel 1906 portò il tricolore in porti cinesi, coreani e giapponesi. Durante l'imbarco di Sulfàro addestrò soldati nipponici in radiocomunicazioni e artiglierie di bordo, armi vincenti nella prima grande battaglia navale a Tsushima che con la caduta di Port Arthur rese il Giappone potenza mondiale.

In appendice tra gli importanti allegati (anche sul conflitto italo-turco del 1911/12) La guerra russo-giapponese, 1904-5 di Alberto Caminiti mette in risalto una dimensione globale e non eurocentrica (come resta per noi lo studio della storia). Evidenzia l'indebolimento dell'Impero zarista, la decadenza della Cina, l'aprirsi all'Occidente del Giappone.

Nei Quaderni risalta la formazione del giovane Sulfàro, di cui emergono amor di Patria, Fede, spirito d'osservazione.

Risalta la fede. Un giorno dopo la partenza, alla preghiera in comune istituita per idea della conterranea Marchesa Pallavicini, annota: «È commovente una nave tra cielo e mare, con l'equipaggio in perfetto silenzio, lontano dal mondo, che si rivolge all'Altissimo». Sulla cristianità «flash» ci vengono da un allegato del conte Okuma, capo del partito progressista giapponese. Le osservazioni critiche riguardano i missionari venuti dopo il molto apprezzato Francesco Saverio: «Più che diffondere il cristianesimo miravano con intrighi vergognosi ad assorbire poco o tutto il paese. Da ciò espulsioni e massacri». Da sottolineare per la vicina Cina che il viaggio della Marco Polo si colloca poco dopo la rivolta dei Boxers contro gli stranieri e contro i cinesi convertiti al cristianesimo, considerati traditori.

Nel viaggio Sulfàro scoprì angherie. Il giudizio del Tribunale militare per il rifiuto d'obbedienza d'un marinaio gli sembra «Una gran pagliacciata, una condanna già scritta. Aguzzini! E pensare che in battaglia sono morti migliaia d'eroi per liberare l'Italia dalla schiavitù imposta dallo straniero». Ci informa del sadismo di «un'anima nera» che a bordo li fa camminare scalzi sul ghiaccio o fa cucire il cappuccio della sentinella per non servirsene contro il freddo. C'è di peggio: l'indifferenza verso la vita umana. A Chemulpo (oggi Inchon in Corea del Sud) nell'incendio delle Sante Barbare della Marco Polo, 19 compagni, avvelenati dai gas della balistite, sono lasciati morire «come cani».

Sulfàro vorrebbe studiare, si sente diventare asino ogni giorno di più, senza calcolare l'arricchimento che gli viene dall'esperienza dura e che ci affascina: luoghi e costumi diversi, impatto con la guerra, vita e fratellanza a bordo, pietas verso i 400 russi feriti a Chemulpo che la nostra Elba porta ad Hong Kong. Nel suo sguardo etno-economico-ambientale sulle città portuali fin con il racconto di importazioni ed esportazioni, alcuni particolari si venano di nostalgia: Nagasaki paragonata a Sestri Ponente, le vele delle canoe di Ceylon come i bragozzi chioggiotti. Scopriamo la poesia dei paesaggi, di un Eden come il Mare interno del Giappone, di Itsuku, isola sacra dei giapponesi che non vuole la tristezza della morte e dove chi sta male è portato a morire altrove.

 

 

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