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26 ago – L’Istria a Tito: gli inediti della pace ”mutilata”

di Antonio Airò su "Avvenire" del 20 agosto 2008

 

« La Commissione per i Trattati internazionali , rinnovando tutte le riserve sul carattere e sul contenuto del Trattato al quale l’Italia non è mai stata chiamata a contribuire colla sua libera volontà…essendo in questo momento in atto una iniziativa per dare una base di solidarietà internazionale all’ opera di ricostruzione dell’Europa… delibera di proporre all’Assemblea Costituente la ratifica del Trattato». Con 13 voti a favore, democristiani, partiti laici e anche Ivano Bonomi e Ferruccio Parri, e 10 contrari, tra i quali Togliatti, Nenni, Nitti e Vittorio Emanuele Orlando, il 9 luglio 1947 si approvava l’ordine del giorno del leader Dc Giovanni Gronchi con il quale l’Italia accettava il Trattato di pace compresa «la mutilazione dolorosa e tragica» della cessione dell’Istria e la costituzione del Territorio libero di Trieste.

Sulla base di questo voto, l’aula di Montecitorio iniziava il 24 luglio il dibattito generale con l’intervento di tutti i leader politici. «La ratifica – avrebbe dichiarato Luigi Einaudi – era un mezzo necessario per entrare a fronte alta nel consesso delle nazioni col proposito di dare opera immediata, tenace continua alla creazione di un nuovo mondo europeo», mentre il presidente del Consiglio, Alcide De Gasperi affermava « il Trattato non è che un compromesso che noi applicheremo per amor di pace» e in polemica con l’onorevole Orlando, contrario alla ratifica, aggiungeva con toni forti: «L’Italia democratica non è in ginocchio; non è prona; è in piedi…». Il 31 luglio, con una votazione a scrutinio segreto, la ratifica veniva approvata. Su 410 presenti, i favorevoli furono 262. I contrari 68.

I socialisti decidevano di non partecipare e i comunisti annunciavano la loro astensione.Atti parlamentari, verbali del Consiglio dei ministri, ricostruzioni giornalistiche, memorie di leader politici, studi e ricerche hanno ampiamente documentato le vicende che nel periodo 1946-47, quello della dura contrapposizione ideologica sul piano internazionale e della pesante situazione economica e sociale su quello interno, (con la fine anche dell’esperienza del governo tripartito, Dc, Pci, Psi) portavano l’Italia, uscita sconfitta dalla guerra, all’accettazione di un Trattato di pace, certamente deludente e punitivo, duramente criticato ( basti pensare a Sturzo) dagli oppositori. Sepolto invece per più di sessant’anni è stato il registro, manoscritto, con i verbali delle 20 riunioni ( da 20 luglio 1946) della commissione presieduta da Bonomi.

Questo registro ora vede la luce per iniziativa dell’archivio storico della Camera dei deputati e il volume è arricchito anche da un consistente apparato iconografico. Come rileva nella presentazione Paolo Massa, sovrintendente dell’archivio stesso, si tratta «dell’unica raccolta di documenti della Costituente finora non conosciuta e non pubblicata che illustra, con caratteri di originalità le complesse vicende della firma e della ratifica del Trattato di pace».

Un ampio saggio introduttivo dello storico Pier Luigi Ballini, dell’università di Firenze, consente di meglio comprendere uno dei momenti più significativi di un Paese che vuole respirare in una dimensione europea. Tra i verbali della Commissione c’è quello del novembre 1946 sulla tormentata e drammatica questione delle nostre frontiere orientali. In un’ intervista sull’ Unità si adombrava da parte di Togliatti una sorta di baratto: la Jugoslavia avrebbe rinunciato alle sue pretese su Trieste ottenendo in cambio Gorizia. Naturalmente c’erano state subito polemiche, scambi di accuse sulla stampa e tra i partiti. In sede di Commissione, Gronchi presentava un duro ordine del giorno nel quale si affermava che l’

azione del leader comunista era stata tale da non poter essere ignorata politicamente sia sul piano procedurale, sia sul merito e si definiva «ingiustificabile» la cessione di Gorizia, per altro esclusa decisamente da Nenni, ministro degli Esteri.

Altrettanto dura la suo partito dovrebbe riprendere in esame l’opportunità o meno di continuare la sua partecipazione all’attuale governo». Ma i tempi non erano ancora maturi per rompere la collaborazione tra i democristiani e la sinistra. E Gronchi ritirava il suo documento. Ora la pubblicazione dei verbali la porta alla luce.

Scintille fra democristiani e comunisti. «Compromesso» necessario secondo Gronchi e De Gasperi. Ma Togliatti replicò con un «baratto»: Gorizia in cambio di Trieste all’Italia.

 

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