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24 giu – Maturità e Pahor: Hansen scrive a La Repubblica

Preg.mo
Al dott. Ezio Mauro
Direttore de “la Repubblica”

Gentile Direttore,

l’assegnazione, per lo svolgimento del tema a carattere storico, della traccia sulle Foibe e sull’esodo della popolazione italiana autoctona dalla Venezia Giulia e da Zara nel secondo dopoguerra è stato variamente commentato sugli organi di stampa e radio-televisivi nazionali, molti dei quali hanno ospitato note ed opinioni di storici contemporanei e di rappresentanti delle associazioni di esuli.

Elemento comune delle valutazioni, il rilievo dato al carattere inedito di quella traccia, che per la prima volta introduce nella scuola italiana la cognizione degli eccidi perpetrati dai partigiani comunisti di Tito a danno dell’elemento italiano – ricordiamo, di antico insediamento storico – e di molti esponenti della Resistenza non comunista, in quanto contrari all’annessione di quei territori alla Jugoslavia, imponendo negli anni 1943-’45 e ben oltre un regime di violenze, di intimidazioni, di processi popolari e di espropriazioni in un territorio di unilaterale occupazione, evidenziato all’epoca dall’intera stampa italiana ed anglosassone, soprattutto statunitense.

Sia l’istituzione, nel 2004, del Giorno del Ricordo – votata pressoché all’unanimità dall’intero Parlamento – sia, oggi, la traccia assegnata dal Ministero della Pubblica Istruzione, costituiscono due momenti fondamentali del percorso seguito dalle associazioni dell’esodo nella direzione di una riflessione storiografica finalmente sottratta alla lente deformante delle opposte ideologie, che lasciamo volentieri al secolo trascorso per tutti i lutti, le deportazioni, i massacri e la tenebra morale che hanno causato alle popolazioni europee. Confortate ed accompagnate, le rappresentanze degli esuli italiani, dalla libera e matura ricerca storiografica contemporanea e dagli interventi autorevoli e ponderati dei Presidenti Ciampi e Napolitano, senza dimenticare che già nel 1992 il Presidente Scalfaro elevò la foiba di Basovizza – emblema degli eccidi consumati dai partigiani di Tito in tutta l’Istria, nel territorio di Fiume e, mediante annegamento, in Dalmazia – a monumento nazionale, affidandola al «rispetto della nazione».

Al febbraio di quest’anno risale il primo Seminario sul confine orientale promosso di concerto dal Ministero della Pubblica Istruzione e dalla Federazione delle Associazioni degli Esuli Istriani, Fiumani e Dalmati, dedicato ai dirigenti, ai docenti e agli studenti degli istituti italiani, cui hanno dato il loro contributo scientifico i docenti universitari Giuseppe de Vergottini, Giuseppe Parlato, Raoul Pupo e Roberto Spazzali. Ai loro nomi dobbiamo aggiungere almeno quelli di Marina Cattaruzza, Gianni Oliva, Diego Redivo, Fulvio Salimbeni, Paolo Simoncelli, autori di diverso orientamento storiografico accomunati dalla volontà di sottrarre l’indagine storica alle manipolazioni politico-ideologiche che si vorrebbero ancora proporre fuori tempo massimo.

Roberto Spazzali sul quotidiano “Il Piccolo” ha fatto menzione di un «approccio laico, non pregiudiziale» alle complesse vicende del confine orientale, che non iniziano con il fascismo e non si esauriscono con la cessione di quei territori all’ex Jugoslavia. Un approccio che, con tutto il sentito rispetto che si deve alla vicenda biografica dello scrittore Boris Pahor, sembra qui veramente mancare. La riproposizione del concetto che le Foibe furono la reazione alle violenze perpetrate dal fascismo si avvicina pericolosamente alle tesi  giustificazioniste e preclude la più serena analisi degli eventi che pure invoca. 

Riteniamo che l’Italia abbia fatto ampiamente e doverosamente ammenda dei guasti procurati dal regime fascista – non unico, peraltro, in Europa, come ha ben evidenziato in vari interventi Fulvio Salimbeni in una lettura comparativa del Novecento – in quell’area di confine così come nell’intero Paese. Di contro, molti capitoli devono ancora essere aperti e letti, dal consistente collaborazionismo sloveno con l’Asse a partire dal 1941 sino alla sottomissione politica e psicologica della comunità italiana rimasta nei territori ceduti al nuovo regime totalitario jugoslavo.

Per altro verso, gli Esuli giuliani e dalmati sono anch’essi testimoni di una storia patita e segnata dall’abbandono di beni, affetti e prospettive di vita, che hanno contribuito con il lavoro e le professioni alla rinascita dell’Italia. Altri hanno recentemente riconosciuto loro  l’equilibrio con il quale, pur esigendo il doveroso ricordo di una tragedia che è stata dell’intera nazione, si pongono nei confronti della storia e delle sue future prospettive.

Sarebbe giusto sentire anche la loro opinione, quando si tratta della loro vicenda umana, individuale e collettiva.

La ringrazio dell’attenzione e Le porgo distinti saluti.

Patrizia C. Hansen
Ufficio Stampa ANVGD
Sede Nazionale

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