Sembra quasi una contraddizione, ma la maggior parte dei giornalisti italiani, quando trattano argomenti riguardanti le terre come l’Istria, Fiume o la Dalmazia, si lasciano condizionare da ciò che oggi sono queste località, usando termini e soprattutto nomi in croato o in slavo. Non per polemizzare, e nemmeno per farne un discorso troppo nazionalistico, ma resta da capire perché pronunciare in slavo o croato ciò che è nato come italiano? E soprattutto, perché lo si fa solo con queste città, quando tendiamo ad italianizzare tutte le altre ad esempio London-Londra, Paris- Parigi, ecc..
Una risposta c’è! Forse alcuni giornalisti italiani non conoscono la storia o meglio riportano semplicemente ciò che leggono, senza dare troppo peso o importanza al tema che stanno affrontando.
Questa mia riflessione nasce in riferimento ad una articolo letto sul quotidiano gratuito "Metro" di giovedì 15 maggio 2008, dove la giornalista Patrizia Magi parla del turismo nell’Istria slovena; l’aspetto più singolare e curioso della Magi, è che scrive tutti i nomi delle località in italiano, pur inserendo a fine articolo un sito internet di un ufficio turistico slavo.
Devo dire che non solo lei fa questo, addirittura gli stessi slavi e croati, hanno iniziato proprio in quei posti, per il bilinguismo presente in Istria, ad affiancare la versione italiana a quella slava nei cartelli stradali o quelli che indicano le maggiori città.
Penso che chiamare Fiume- Rijeka, Cres–Cherso o Pola–Pula quando fino al 1947 queste città erano italiane, sia come rinnegare ciò che un tempo era nostro, e in particolare far del male a tutte quelle persone che quei tragici momenti li hanno vissuti sulla propria pelle, e che con i loro occhi hanno guardato mentre gli venivano sottratte violentemente le loro case, i loro ricordi e tutta la loro vita.
Ed è proprio per quello che ha subito un popolo e per la storia d’Italia che chiedo ai giornalisti in quanto italiani e in quanto uomini di cultura, di trasmettere sapere e conoscenza, ed usare i giusti termini per lo meno quando si relazionano con i propri connazionali.
Samanta Dell’Uomo