Comunicato stampa ANVGD
La cancellazione della cultura di un popolo o, in alternativa, l’appropriazione indebita delle sue memorie storiche possono ben considerarsi la prosecuzione in altri termini della violenza ideologica ed etnica che nel Novecento ha travolto e depauperato intere regioni e popolazioni in Europa. In questo nuovo millennio, e nella prospettata cornice di un’integrazione continentale all’insegna dei diritti e del rispetto reciproci, la Croazia – così come nei decenni passati la Jugoslavia di Tito – ha fatto proprio questo metodo, della “traduzione” – impunita e ridicola – dei nomi, delle origini e dei luoghi per adattarli alla misura impossibile di una «croaticità» senza fondamenti storici.
L’ultima trovata, sulla quale bene si sofferma oggi Gian Antonio Stella sul “Corriere della Sera”, è dell’ex presidente Stipe Mesic il quale ha siglato con la sua firma la definitiva, assurda e risibile consacrazione di Marco Polo alla nazione croata proprio in Cina, annettendo il grande veneziano al pantheon dei personaggi storici «croati». Una favoletta da tempo diffusa ad uso degli ignari turisti, ai quali si è tentato di far credere che, essendo nato nel XIII secolo forse nell’isola dalmata di Curzola, l’autore de “Il Milione” dovesse essere certamente croato. Un sillogismo primitivo e infondato, che riporta a galla l’etnocentrismo retroattivo, arrogante, grossolano e ipernazionalista, di tanti ambienti d’oltre confine. Come se ne ebbe prova pochi anni addietro, con il violento attacco dello stesso Mesic al Presidente Napolitano quando questi, in occasione del Giorno del Ricordo celebrato al Quirinale, riconobbe senza mezzi termini la tragedia degli italiani del confine orientale al volgere della seconda guerra mondiale.
Ora, allo stesso modo le basiliche dell’Istria – come a Parenzo –, sorelle e contemporanee delle grandiose chiese di Ravenna, vengono “tradotte” in capolavori dell’arte croata; così le città di Traù, di Spalato, di Zara, di Sebenico, adorne delle più raffinate architetture di maestranze italiane da rendere la Dalmazia uno scrigno dell’Umanesimo e del Rinascimento, sono “tradotte” in lingua croata. La cancellazione, rozza e volgare, dell’identità autentica della civiltà artistica e culturale dell’Istria e della Dalmazia si configura esattamente come pulizia etnica della memoria storica.
Non si può assistere indifferenti alla falsificazione di un intero patrimonio di cultura, che resta oggi e nel futuro a testimoniare la plurisecolare presenza latina e veneta nell’Adriatico orientale.
Vogliamo con fermezza richiamare le autorità diplomatiche italiane ad un necessario intervento presso il governo di Zagabria e le autorità cinesi. Abbiamo già assistito alle mostre di «arte croata» nelle prestigiose sale dei Musei Vaticani con le più belle opere di artisti italiani, e all’assegnazione di una nuova nazionalità al Bronzo di Lussino, solo perché rinvenuto in acque oggi croate. I prossimi passi saranno la certificazione di autentico croato dell’imperatore Diocleziano perché nato a Spalato, o di Giuseppe Verdi perché correntemente tradotto in Josip Zelenilo.
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Ufficio stampa / Patrizia C. Hansen