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21 mar – Toth: la nostra storia non andrà perduta

Dal numero di febbraio del nostro mensile "Difesa Adriatica" riportiamo l'articolo di fondo del Presidente Lucio Toth.

 

Se una morale si può tirar fuori da oltre un mese di iniziative per il Giorno del Ricordo di quest'anno è il dovere di andare avanti sulla strada intrapresa. Voltandosi indietro solo per misurare il cammino percorso.

Bisogna guardare al risultato vedendone gli aspetti positivi. Senza trionfalismi perché la situazione non ce lo consente. Come non ci consente riposi sugli allori.

Un mese e più di manifestazioni, convegni, articoli sui giornali più importanti del Paese (quelli che si leggono all'estero per sapere cosa pensano gli italiani di se stessi) ci invitano ad una riflessione articolata.

Alcuni obiettivi essenziali che ci ponevamo sono stati raggiunti o comunque le nostre attività hanno inciso nel muro del silenzio penetrando nella massa opaca dell'ignoranza collettiva così da aprire una breccia nell'intelligenza e nell'interesse dei connazionali estranei alla nostra esperienza vissuta. E non solo dei connazionali.

Innanzitutto la mobilitazione di base di tutte le associazioni della Diaspora e, in primo luogo dei nostri Comitati e delle Delegazioni provinciali, hanno segnato un incremento notevole: dimostrazione di rinnovato entusiasmo e di passione civile, che è la nostra eredità più preziosa di italiani dell'Adriatico orientale, un'eredità che tutti ci ammirano.

Si è scritto da più storici che alla formazione di una coscienza collettiva dell'identità italiana è mancata la "componente popolare", cioè la consapevolezza, insieme critica ed emotiva, dell'essere italiani, diffusa in tutti i ceti sociali della Penisola. Fenomeno che invece ha caratterizzato altre nazioni europee e occidentali, come la Francia, la Germania, la Gran Bretagna, persino gli Stati Uniti, frutto di un melting pot multi-etnico.

Ebbene noi, italiani dell'Istria, del Quarnaro, della Dalmazia questa consapevolezza l'abbiamo raggiunta oltre un secolo fa in tutti gli strati sociali, dalla piccola aristocrazia di origine veneta alla borghesia liberale dell'Ottocento, ai ceti artigiani e mercantili delle città, ai marinai e ai pescatori fino ai ceti rurali delle campagne istriane, consapevoli della propria differenza di istro-veneti rispetto ai "tedeschi"

o ai magiari allora dominanti e ai vicini e conterranei sloveni e croati.

È stata questa coscienza condivisa di una compattezza identitaria a portare all'esodo di massa da città, paesi e campagne tra il 1944 e il 1954 e oltre, malgrado la diversità delle situazioni locali e quindi dei tempi e dei modi dell'esodo.

E fu l'esperienza di frontiera a fare la differenza. Fatto sta che il senso del dovere civico, di dover fare qualcosa per gli altri, per la comunità di appartenenza, per la patria italiana cui si sentiva di appartenere, sono cresciuti giorno dopo giorno, mano a mano che la nostra diversità si faceva evidente nella sua nuda e incontrovertibile oggettività. E questa differenza ce la siamo portata dietro negli anni dell'esilio, comunicandola ai figli e ai nipoti: un senso del dovere che pochi altri italiani hanno.

Ed è questa stessa consapevolezza collettiva che ha tenuto uniti i "rimasti", a dispetto delle difficoltà in cui si sono venuti a trovare per essere diventati minoranza dove, con noi, erano maggioranza

ISTRIA, QUARNARO E DALMAZIA NELLA STORIA E NELLA CULTURA ITALIANE

Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha voluto ricordare nel suo discorso del 10 Febbraio l'aspetto democratico e liberale dell'irredentismo giuliano, come aspirazione alla libertà e all'indipendenza di tutti i popoli. Se c'erano toni nazionalisti nel nostro irredentismo, come nei nazionalismi di tutta l'Europa dei primi del Novecento, c'era anche un respiro sovranazionale, una ricerca di comprensione e di fratellanza al di là degli steccati che sapientemente l'amministrazione austriaca aveva saputo erigere per tenere a freno e insieme sfruttare i fermenti nazionali nati dal movimento romantico e mantenere il controllo politico sulle nostre regioni. E ha citato proprio la storiografia austriaca più recente che delle nostre vicende si è occupata. L'ha citata davanti a noi perché anche altri intendano.

Ecco allora uno dei risultati della nostra battaglia: dimostrare che la damnatio memoriae cui siamo stati condannati, nascondendo agli italiani la tragedia delle Foibe e il dramma dell'Esodo di 350.000 connazionali, è il frutto di un ritardo della cultura ufficiale italiana, di un provincialismo di fondo che impediva di vedere nella nostra vicenda uno dei tratti salienti della storia europea del Novecento. Siamo riusciti a far capire che questa vicenda non è una storia localisti-ca di un angoletto d'Italia dimenticato, ma fa parte della storia dell'intera nazione e della stessa democrazia europea. Innanzitutto perché nelle foibe e nel gulag iugoslavo sono periti non solo istriani, fiumani, goriziani, triestini, dalmati di più o meno antica autoctonia, ma anche altri italiani di ogni regione, vittime di una pulizia etnica preordinata e programmata.

Ma soprattutto perché l'Istria e il Quarnaro e le città della Dalmazia hanno sempre fatto parte integrante della storia e della cultura italiane, con un legame profondo e ininterrotto nei secoli e un contributo continuo di pensiero, di arte, di azione politica, dall'epoca dei Comuni medievali al Rinascimento, all'età moderna con la lunga appartenenza alla Serenissima di gran parte della Dalmazia e dell'Istria, così da estenderne la venezianità anche a chi sotto San Marco non ci stava, fino ai moti del Risorgimento, che anche nelle nostre regioni hanno avuto un'eco non passiva.

Altro che «colonie veneziane», come ancora l'altro ieri ha avuto il coraggio di insinuare chi non sa più a che argomenti votarsi per contrastare proprio questa nostra azione di verità storica. I "covi" sulla costa non erano certamente le nostre Giustinopoli e Parenzo, Rovigno e Pola, Muggia e Pirano. E nemmeno Arbe, Cherso o Zara, liberi Comuni con i loro rettori e podestà «de gente latina»! E questo anche prima che arrivasse la Serenissima. Nei covi ci stavano i briganti e i pirati che rompevano le balle dai tempi del Placito del Risano (IX secolo dell'Età Media) e dei quali ci liberammo con l'aiuto delle sue navi.

BIPARTISAN E IN CRESCITA LE INIZIATIVE PER IL GIORNO DEL RICORDO

Tornando al 10 Febbraio, se si guarda ai centinaia di comuni dove si sono svolte iniziative di ogni genere, con un incremento del 30% rispetto al 2009 e il coinvolgimento di scuole di ogni ordine, si deve anche notare che il Giorno del Ricordo ha conquistato una notevole risonanza a livello popolare.

Mentre incontra ancora qualche resistenza negli ambienti della borghesia intellettuale, non perché siano più colti, ma perché sono condizionati da stereotipi ideologici ereditati dal passato. E non c'è ignorante peggiore di chi crede di sapere tutto. E questo sia a destra che a sinistra.

La stessa geografia delle manifestazioni conferma d'altro canto come l'interesse per le tematiche collegate al Giorno del Ricordo sia bipartisan, con un notevole approfondimento culturale anche nelle Regioni, nelle Province e nei Comuni retti da coalizioni di sinistra. Segno non trascurabile della nostra capacità di comunicazione.

Le iniziative revisioniste in controtendenza sono rimaste invece isolate e prive di avvalli istituzionali. Le critiche espresse da ogni parte e da giornali autorevoli (Corriere della Sera, Osservatore Romano, Il Giornale, Il Piccolo) al libro di uno storico sloveno pubblicato da Einaudi su posizioni vetero-iugoslaviste hanno messo in evidenza come le sue tesi non trovino più spazio nell'opinione pubblica più avvertita e informata. Non siamo più soli e questo è un dato inoppugnabile di cui dobbiamo avvalerci con coraggio e determinazione.

Nel Seminario per docenti del 23 febbraio al Ministero dell'Istruzione, Università e Ricerca è stato osservato da uno dei relatori che il timore che la nostra vicenda di esuli cada nel dimenticatoio della storia si può considerare ormai scongiurato. Ci siamo guadagnati uno spazio nella memoria del Paese che nessuno ci potrà insidiare. E un altro storico, relatore a un convegno della Consulta Veneta dell'ANVGD, ha riconosciuto che siamo riusciti a trasmettere la forza delle nostre memorie personali non solo alla storiografia italiana, ma all'informazione divulgativa del nostro Paese.

È un risultato dal quale dobbiamo saper trarre profitto, continuando a lavorare con ancor maggiore determinazione e con strategie rinnovate, anche sul versante dei nostri diritti giuridici: restituzioni, indennizzi, case popolari. È il momento giusto per andare avanti e non perdere tempo ed energie in diatribe inutili.

Lucio Toth

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