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18ago/11.48 – Il Dalmatico, solo idioma romanzo estinto nel XIX secolo

In un’intervista all’agenzia giornalistica AdnKronos, Michele Loporcaro, professore di Linguistica Romanza nell’Università di Zurigo, ricorda come il solo caso di perdita di una parlata romanza, ovvero di derivazione neo-latina, «è quello del dalmatico dell’isola di Veglia», un idioma estintosi alla fine dell’Ottocento con la morte di Antonio Udina, l’ultimo a parlarlo, il cui nome è in qualche modo passato alla storia in quanto ebbe l’occasione di incontrare il grande glottologo Matteo Bartoli, che al dalmatico dedicò nel 1906 la tesi di dottorato a Vienna, Das Dalmatische in 2 volumi.

 

Per altro verso, è stato calcolato che dalla Bolivia al Nepal, dal Perù all’Australia, sono circa duecento le lingue destinate a scomparire nell’arco di pochi anni, quando si estingueranno con l’ultima persona che le avrà parlate. Ma almeno per il dalmatico sussistono pregevoli fonti antiche, a partire dallo storico dalmata Giovanni Lucio che così ne trattò nella sua opera De Regno Dalmatiae et Croatiae (1666): «[…] risulterà chiaro che la lingua latina in Dalmazia aveva subito delle modificazioni al pari del latino in Italia e che intorno al 1300 il volgare dalmatico era più vicino alla lingua dei Piceni e degli Apuli che non a quella dei Veneti o dei Lombardi: quando invece a partire dal 1420, essa era diventata somigliantissima al veneziano […]».

 

La traduzione italiana de Das Dalmatische di Bartoli, edita dall’Istituto per l’Enciclopedia Italiana nel 2000, fu curata dal zaratino Aldo Duro, insigne lessicografo a lungo presidente dell’Accademia della Crusca, direttore del Grande Vocabolario Treccani e dell’Osservatorio della Lingua italiana. Ultimo esponente, Duro, della grande scuola dalmata di studiosi e cultori della lingua italiana, da Gianfrancesco Fortunio (sue, nel 1516, le Regole grammaticali della volgar lingua), a Niccolò Tommaseo, da Adolfo Mussafia allo stesso Bartoli, che chiude una plurisecolare tradizione di prestigiosi studi linguistici, specchio dell’antica pertinenza alla civiltà italiana.

 

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