PEDENA, ALLA RICERCA DEI CADUTI – La Voce di Romagna 8 novembre 2010
Le vicende degli uomini dell'Arma in Istria
Dove sono stati occultati i cadaveri dei carabinieri vittime della strage?
Continuano le ricerche sulla fine dei carabinieri delle stazioni istriane di Pedena e Gallignana (oggi rispettivamente Pican e Gracisce, in Croazia), di cui faceva parte Arturo Gianesi, nato a Cesenatico il 9 novembre 1921. I fatti risalgono all’11 giugno 1944. Il 30 novembre 2009, Storie e personaggi aveva raccontato la vicenda di Gianesi e degli uomini dell’Arma caduti sul confine orientale. Tutto era partito dal libro dello storico Guido Rumici “Pedena 1943/1948”, edito dall’Anvgd (Associazione nazionale Venezia Giulia e Dalmazia), che ha raccolto la testimonianza di un anziano maresciallo dell’Arma, Saverio Mellea, che da Gallignana era stato trasferito a Pedena, e da un elenco consultato grazie alla disponibilità del colonnello Giancarlo Barbonetti, capo dell’Ufficio storico dell’Arma. Grazie alle ricerche di Tullio Rensi, nipote di monsignor Pietro Rensi, all’epoca parroco di Pedena, si sono aggiunti nuovi particolari che confermano la presenza nel piccolo centro istriano di militari nati in Emilia-Romagna, mentre dagli archivi dell’Ufficio storico dell’Arma è uscita una relazione con le conclusioni dell’indagine condotta dalla Legione carabinieri di Udine e le testimonianze di alcuni scampati alla strage, spesso discordanti tra di loro. Dal raffronto tra i militari assegnati a Pedena e Gallignana e l’elenco delle segnalazioni dei dispersi, l’Arma è riuscita a ricostruire l’elenco dei caduti nei tragici fatti dell’11 giugno 1944. Le vittime sono 22, oltre a 15 militari della stazione di Pedena catturati dai partigiani in marzo.
di Aldo Viroli
Guido Rumici, autore tra l’altro di “Infoibati” edito da Mursia, ha raccolto nel corso dei suoi studi sulle tormentate vicende del confine orientale la testimonianza di un maresciallo dell’Arma, Saverio Mellea, classe 1922, che da Gallignana era stato trasferito a Pedena. Il presidio di Pedena dipendeva da Gallignana, situata a circa quattro chilometri, ed era comandato dal sottotenente Angelo Finucci, classe 1918, nato a Novi Ligure. Il territorio non offriva nulla, così ha raccontato l’anziano sottufficiale a Rumici, e la popolazione stremata da anni di guerra ‘tirava avanti’ con i viveri che i militari ricevevano dalla sussistenza di Pisino (Pazin). Gli attacchi dei partigiani erano frequenti, con combattimenti che duravano anche diverse ore. Mellea ha ricordato il ferimento di un appuntato siciliano, curato dal medico del posto. Poi, essendo venuti a mancare alcuni militari a Pedena, in cinque o sei, lui compreso, erano stati trasferiti da Gallignana.
A Pedena, come del resto a Gallignana, la caserma aveva sede in un’abitazione adattata, soggetta ugualmente a frequenti attacchi partigiani. L’ultimo risale all’11 giugno e aveva riguardato contemporaneamente le due località. L’attacco, scrive Rumici, era stato condotto dal secondo e terzo battaglione della brigata Vladimir Gortan, con l’appoggio di alcuni reparti del battaglione Pino Budicin, composto nella totalità da partigiani italiani. Venute a mancare le munizioni, il sottotenente Finucci assieme al parroco monsignor Pietro Rensi, aveva trattato la resa ricevendo assicurazioni che a nessuno dei militari sarebbe stato fatto del male. Purtroppo non sarà così. Nel primo pomeriggio, dopo un combattimento durato circa dodici ore, arriverà la resa e verso le 17 giungeranno a Pedena, guidati da una partigiana slava, i carabinieri fatti prigionieri a Gallignana. Tutti verranno rinchiusi nell’edificio scolastico dove già si trovavano Mellea e gli altri appartenenti al presidio di Pedena. Il maresciallo Mellea ha confermato la presenza a Pedena del romagnolo Arturo Gianesi. Non appena Tullio Rensi gli ha mostrato la foto, lo ha immediatamente riconosciuto ricordando anche che veniva dalla Romagna. In un precedente incontro quel cognome non gli aveva ricordato nulla. Mellea ha dichiarato che Gianesi era in servizio con lui a Pedena e che dopo la resa dell’11 giugno, di cui aveva fornito la testimonianza a Rumici, tutti i carabinieri vennero portati nella locale scuola elementare, divisi in gruppi in diverse aule, e interrogati uno a uno dai partigiani che li avevano fatti prigionieri. Dalla scuola, dove erano rimasti detenuti alcuni giorni, vennero fatti uscire alla spicciolata; Gianesi faceva parte di uno di quei gruppetti di cui nessuno fece più ritorno. I militari saranno poi condotti fuori Pedena, uccisi e gettati in qualche cavità della zona, che ne è piena. Solo all’ultimo gruppetto, di cui faceva parte Mellea, verrà offerta la salvezza della vita a condizione di aderire all’opzione partigiana, cosa che faranno tutti i sopravvissuti. Mellea, durante una marcia di trasferimento, nei pressi di Caporetto (oggi Kobarid, in Slovenia) riuscirà poi a fuggire e a raggiungere i partigiani osovani.
Leggendo la relazione dell’Ufficio storico dell’Arma mostratagli da Tullio Rensi, Mellea ha ricordato altri nominativi di commilitoni: Teobaldo Vecchi, nato a Migliarino (Fe) il 18 gennaio 1907, e Guido Maines, trentino, prelevati dopo tre ore di segregazione a scuola; di loro non si seppe più nulla. Dai servizi demografici del comune di Migliarino si apprende che Vecchi è emigrato con tutta la famiglia nel comune di Formignana (Fe) il 29 dicembre 1912. Risulta disperso e dichiarato il presunto decesso un Pedena (Istria) in data 11 giugno 1944 con provvedimento della Presidenza del Consiglio dei Ministri, trascritto nei registri di morte del comune di Jolanda di Savoia, comune di ultima residenza, nel 1994. Tullio Rensi è figlio di Aldo, scomparso senza lasciare tracce il 15 maggio 1944 mentre stava andando a piedi da Pedena ad Arsia, località mineraria; lui stesso, all'epoca bambino, ricorda i fatti accaduti nel giugno 1944. “Rivedo – ha raccontato a Rumici – questi militi con le mani alzate e un capo partigiano che si avvicina a un carabiniere alto due metri, gli strappa il pugnale che portava alla cintura e glielo conficca in gola".
L’Arma nel dopoguerra ha avviato le ricerche di tutti i militari caduti e dispersi. Il 7 maggio 1946 il carabiniere Luigi Baciani, in forza alla Compagnia comando della Legione di Ancona, ha rilasciato una dichiarazione a proposito della sorte del maresciallo maggiore Francesco Mereu, comandante della stazione di Pedena. L’8 settembre il sottufficiale faceva parte del plotone comando del 23° Battaglione mobilitato dislocato a Segna in Dalmazia (Senj, in Croazia). “Dopo essere stato disarmato – racconta Baciani – e fatto prigioniero dai tedeschi, lo stesso fu condotto insieme a me ed agli altri militari del battaglione preso il comando gruppo CC.RR. di Pola. Lì fummo obbligati a prestare servizio ed il maresciallo Mereu fu destinato a comando della stazione carabinieri di Pedena, alle dipendenze della Compagnia di Pisino. Anche il sottoscritto fu destinato a Pedena. Ciò avveniva il 3 novembre 1943. Il 20 marzo 1944 il sottoscritto abbandonava il reparto e passava nelle file partigiane, mentre il maresciallo Mereu rimase al comando della stazione. L’11 giugno 1944 i partigiani di Tito prelevarono tutti i componenti della stazione di Pedena, che ammontavano a 23 uomini, comandante compreso. Di questi, 11 furono salvati dalla brigata partigiana di cui faceva parte il sottoscritto, e gli altri (12) furono tutti fucilati. Fra questi era compreso il maresciallo Mereu Francesco. Il sottoscritto non assistette alla fucilazione ma vide il cadavere del sottufficiale l’indomani mattina. I cadaveri furono seppelliti sul posto stesso, nelle immediate vicinanze della frazione di Santa Caterina d’Istria”.
Secondo la ricostruzione della Legione di Udine, i militari fucilati sono stati sepolti alla falde del Monte Maggiore. Il racconto è del carabiniere Guido De Santi, catturato a Gallignana ma riuscito a fuggire il 24 giugno, durante una marcia di trasferimento, buttandosi in un burrone; poi a piedi era riuscito a raggiungere Trieste. De Santi ha riferito che il giorno dopo la cattura, il 12 giugno, i militari dopo essere stati sottoposti ad interrogatorio, vennero divisi in due gruppi, uno dei quali avviato in località ignota, l’altro verso Fiume. Di quest’ultimo gruppo faceva parte lo stesso De Santi.
La Legione di Udine ha raccolto la testimonianza di un altro carabiniere, Marino Ferdani, che faceva parte del gruppo di De Santi. Verso il 25-26 giugno il gruppo di trenta militari che procede verso Fiume si imbatte in una pattuglia tedesca che li libera per deportarli poi in Germania. Ferdani riferisce di aver appreso durante la marcia di trasferimento, dai partigiani della scorta, che la sorte toccata all’altro gruppo, di cui facevano parte il sottotenente Angelo Finucci, comandante del distaccamento di Gallignana, e il vice brigadiere Antonio Mazzara, era stata peggiore in quanto secondo loro erano stati tutti fucilati. La tragica fine dell’ufficiale e degli altri militari era nota anche per la comunicazione fatta da una partigiana già confidente di Finucci. L’Ufficio storico dell’Arma conserva il telegramma inviato dal tenente Renato Mastrogiovanni, comandante il Gruppo provvisorio di Pisino, al Comando Legione di Trieste. Secondo quanto dichiarato dall’ufficiale, al momento dell’attacco partigiano, le stazioni di Pedena e Gallignana avevano in forza 50 militari e precisamente: un ufficiale, tre sottufficiali e 23 militari di truppa assegnati a Gallignana, altri quattro sottufficiali e 19 militari di truppa a Pedena. I militari catturati dai partigiani l’11 giugno sarebbero dunque 48, secondo la ricostruzione effettuata dalla Legione di Udine 49.
Anche il tenente Mastrogiovanni finirà tragicamente la sua esistenza terrena. Secondo l’Ufficio storico dell’Arma sarebbe rimasto in Istria fino al maggio 1945 quando verrà arrestato a Pola dall’Ozna, la polizia politica di Tito, e tradotto nelle carceri di Buccari (Bakar), nei pressi di Fiume. Da allora si sono perse le sue tracce e presumibilmente è stato infoibato. L’Ufficio storico dell’Arma è giunto alla conclusione, tenuto conto delle versioni contrastanti dei militari interrogati, che nessuno dei superstiti ha assistito direttamente all’esecuzione dei commilitoni. E’ stato però possibile ricostruire l’elenco delle vittime attraverso il confronto degli elenchi degli uomini in servizi a Pedena e Gallignana e le segnalazioni dei dispersi.
Sono 22 i carabinieri caduti o dispersi nei fatti dell’11 giugno 1944, quattro erano nati in Emilia-Romagna. Si tratta, oltre ai già citati Arturo Gianesi e Teobaldo Vecchi, del brigadiere Novello Ghedini nato a Medicina il 14 giugno 1910, e del carabiniere Carlo Laffi, nato a Vergato nel 1919. Nei registri dello Stato civile risulta nato nella casa posta in Castelnuovo-Pergola del comune di Vergato; non risultano altre notizie sul suo conto. Grazie al presidente dell’Associazione carabinieri di Medicina, Rosario Sguzzo, è stato possibile avere qualche notizia sul brigadiere Novello Ghedini, ultimo di 9 fratelli. All’anagrafe risulta emigrato a Fiume nel 1933. Il Tribunale di Bologna, il 26 luglio 1951. ha sentenziato la sua “morte presunta”. Il fratello più anziano, classe 1898, era anch'egli carabiniere. Gli assalti alle stazioni di Pedena e Gallignana erano stati preceduti da un violento attacco avvenuto il 20 marzo 1944 sulla strada che da Pisino porta a Pedena. Quel giorno i partigiani avevano catturato 15 uomini dell’Arma, ma sono noti solo i nomi di quattro: Dino Fattori, Samuele Guaraldi, Felice Scaramella e Renzo De Biagi. Le ricerche dell’Arma per conoscere i nomi degli altri 11 militari hanno dato esito negativo. Samuele Guaraldi era nato a Busseto (Pr) il 15 dicembre 1922. E’stato dichiarato disperso con verbale di irreperibilità per fatti di guerra. Apparteneva al Distretto militare di Piacenza e come Arturo Gianesi era effettivo al 23° Battaglione CC.RR. Successivamente è stato dichiarato perito in data 20 marzo 1944 in Balcania, a seguito di cattura da parte di elementi slavi. L'atto di morte è stato trascritto nel Comune di Busseto nell'anno 1989. Il padre era maresciallo dell’Arma, aveva prestato servizio a Messina all’epoca del terremoto. Samuele era celibe, un fratello maggiore, Giuseppe, classe 1915, è caduto sul fronte russo. A Busseto vive una sorella. La signora riferisce che la madre, venuta a mancare nel 1968, si adoperò in tutti i modi per avere notizie sulla sorte dei figli. Il nipote Emanuele Marocchi racconta che lo zio si era fidanzato con una ragazza del posto che poi aveva informato la famiglia dell’accaduto. Renzo De Biagi era nato invece a Ferrara.
(courtesy Maria Rita Cosliani)