di ARIANNA BORIA su Il Piccolo del 9 febbraio 2011
Nel 2006, per festeggiare i suoi 85 anni, si regalò una mostra a Gorizia, ”Caleidoscopio”, dove, per la prima volta, presentava tutti insieme i suoi quaranta arazzi. Cinque anni dopo, ha fatto molto di più. Non solo una vertigine di righe e colori, ma addirittura un libro ”sul filo di lana”. Un filo solo, per una vita che ne intreccia tanti: quello che tagliava per primo al traguardo dei quattrocento ostacoli, quello, lunghissimo e irregolare, delle sue ”maje”, quello del rapporto con la moglie Rosita, colpo di fulmine alle Olimpiadi di Londra del 1948, dipanatosi in una vita intera di complicità, privata e professionale.
Buon compleanno Ottavio Missoni, che venerdì si lascerà alle spalle un ennesimo filo, i novant’anni. Patriarca aitante, circondato dalla sua grande famiglia, tre figli e nove nipoti, nella casa sulle colline di Sumirago, affacciata sulle mille sfumature del Monte Rosa. E, in questa storia che è tutta una palette, di sfumature e di ricordi ne custodisce tanti altri, i riflessi della natia Ragusa, le luci di Zara, di Trieste, amata città adottiva che lo ha fatto cittadino onorario, dove con due amici si inventò le tute e, anche allora, un colore: il blu olimpico.
Adesso, unico rammarico, non potrà più dire che ”buta la bala” con gli under novanta, come scherzava due anni fa, dopo il secondo posto assoluto ai Master Europei indoor ad Ancona e l’onore di aver acceso il braciere, frazionista più anziano, dando il via al campionato. «Fazevo i 400 piani – se la ride – e adesso son ridoto a butar la bala».
Su e zo, una riga dopo l’altra, novant’anni di sport, lavoro e una carica inossidabile di buon umore. «Lavorar, te scherzi? Tuti xe fissai. Anche quando sono tornato a Trieste nel 1946, dopo quattro anni di prigionia in Egitto, ospite de sua maestà britannica, come me piasi dir a mi, ho incontrato uno di Zara che era all’ufficio emigrazione. Allora andavano via tutti, si poteva partire. Così mi ha detto: ”Tu sei stato prigioniero, sei esule, sei profugo, in tre mesi ti mandiamo in Canada, in Australia”. Il Canada l’ho cancellato subito, troppo freddo. Ma l’Australia era bella, ”Ma cossa vado a far?” ghe gò domandà. E lù: ”Ma come? Te va a lavorar…”. Eco, xe là che l’gà sbaià».
Così la vita ha seguito un filo diverso. Che, almeno all’inizio, ha annodato lei, Rosita, folgorata da quell’atleta bello come l’attore di un fotoromanzo (e l’aveva fatto davvero un fotoromanzo, un’avventura di cuori tormentati, ma la futura sposa non lo seppe a lungo…), arrivato sesto alla finale olimpica dei 400 ostacoli, anno 1948. «Gavevo 27 anni e vignivo da cinque de inattività agonistica. No digo che fussi sta un miracolo, ma una roba insolita sì… La mula gaveva sedise ani. Quando le hanno detto la mia età, è stata una delusione terribile, all’epoca potevo essere quasi suo papà. Pazienza, la se gà rasegnà. E nel 1953 ci siamo sposati».
Si lascia alle spalle le tute azzurre e gli amici imprenditori della ”Venjulia”, Livio Fabiani e Giorgio Oberweger, e si trasferisce a Gallarate con Rosita, che proviene da una famiglia di storici tessutai. Quattro macchine, casa sora e botega soto, cento metri quadrati e una decina di dipendenti. «Io mi dedicavo alla parte che riguardava la maglia, il tessuto, il colore, la materia, la composizione, lei ”traduceva” queste cose in moda, in vestiti. Curavo la parte ”artistica”, insomma. Anche a Trieste, Giorgio e io eravamo presidenti della ”Venjulia” e Livio lavorava. Quando mi sono sposato ho fatto società con la Rosita, ma per me non è cambiato niente: io sempre presidente, lei che lavorava».
Esordi difficili, con Tai che tiene la contabilità e porta in giro il campionario, mentre Rosita fa i pacchi e s’inventa i modelli. Per imparare ci mettono dieci anni. Diventano famosi per le righe, ma è destino. «Avevamo macchine che le podeva far solo le righe. Verticali, orizzontali, diagonali. Poi le macchine si sono evolute, facevamo righe orizzontali e verticali contemporaneamente. E abbiamo creato lo ”scozzese”. E quando sono arrivate le macchine che facevano i movimenti, su e zo, su e zo, siamo diventati i Missoni degli zig zag. Insoma, andavimo drio a quel che podeva far le machine…».
Un giorno conoscono Biki, la sarta che aveva insegnato a vestire a Maria Callas, e cominciano a produrre per lei piccole serie, una decina di pezzi. La Rinascente commissiona ai Missoni le prime collezioni esclusive e il Corriere della Sera si occupa di loro, una pagina intera, con i disegni di Brunetta. Sfilano a Firenze, a Milano: è il successo. Nella stagione 1968-’69 Rosita lancia in passerella tutto insieme: righe verticali, orizzontali, scozzesi, pois. Quel tripudio di colori, quelle strane ”straze” guardate con diffidenza dai lontani parenti triestini, conquistano gli americani, che le battezzano ”put togheter”. Mescolanze che hanno sconvolto per sempre schemi grafici ed estetici nel vestire dell’uomo e della donna.
Le ”maje” catturano pure l’attenzione della segaligna Diana Vreeland, direttrice di Vogue America e primo modello per la trasposizione della terribile patronessa de ”Il diavolo veste Prada”. «Rosita andò Roma a conoscere quella signora un po’ strana», ricorda Tai. «Stava al Grand Hotel e le portò una valigia con le nostre cose. Era molto intimidita, lei così piccola, davanti alle redattrici di Vogue alte tutte un metro e ottanta. Ma andò bene. Quando aprì la valigia sembrava avesse fatto una magia». Pare che Diana abbia esclamato: «Guardate! Chi ha detto che esistono solo i colori? Ci sono anche i toni!» e spalancò alla coppia le porte del mercato americano.
Tai sorride: con i giornalisti stranieri che lo interpellano ha avuto sempre un rapporto sornione. E se adesso l’uscita finale in passerella la lascia alla figlia Angela, che ha preso in mano la responsabilità creativa della griffe, mentre i fratelli Luca e Vittorio si occupano di gestione finanziaria e produzione, il patriarca si concede ancora qualche intervista. «Non so le lingue, ma ormai ho imparato la lezione a memoria. Quando gli americani mi chiedono: ”Come sono i colori di Missoni quest’anno?”, io gli rispondo: ”Ahhh, very exciting”. E quando mi dicono: ”E la linea, la linea?”, io gli faccio: ”Ahh, very impressive”. E gò finì. Do parole, sempre quele».
Novant’anni, una straordinaria carriera imprenditoriale, la soddisfazione di aver scritto un capitolo importante dei primi passi del made in Italy della moda e di aver messo maje e straze nei più importanti musei del mondo, a Londra, a Tokyo, ad Anversa, a New York. Alla festa, idealmente, mancherà solo Albano Albanese, campione mondiale universitario dei 110 ostacoli e all’epoca compagno di stanza di Tai, l’amico di tante vacanze in barca nei mari della Dalmazia, scomparso nel dicembre scorso ad appena un soffio dal traguardo dei novanta.
Un regalo di compleanno? «Continuar a dormir ben…». Perchè, fin dai tempi del liceo Oberdan a Trieste, dove forse avrà messo piede due volte, Ottavio ama il riposo. «Gò sempre avudo due passioni: dormir e léger. Per questo quando i me domanda come xe stada la mia prigionia, rispondo ”una specie de vacanza”: gavevo 24 ore par léger e dormir. Se te ghe pensi, praticamente un Club Méditerranée».
Ma il segreto della felicità di Missoni? «Felicità xe una parola tropo… Diciamo che ho avuto una vita serena, equilibrata, senza grandi contrattempi nè grandi delusioni. Se non ti capitano grandi disgrazie è già una bella cosa. E poi no romperghe i cojòni al prossimo. Che poi è anche una forma di autodifesa per non farseli rompere. Difetti?». Ridacchia: «Tanti, tanti che no posso sceglier… Bisognassi domandarghe alla mia sposa… Te sa cossa? Mi son el ”creator”. Ma ela, la Rosita, me ha creado mi».
Buon compleanno, Tai.