Bisogna distinguere la politica della Jugoslavia nei confronti degli italiani dell’Istria, Fiume e Dalmazia, dalla politica della Repubblica Italiana nei loro riguardi.
Attribuire all’Italia responsabilità che sono invece della Jugoslavia significa compiere innanzitutto un’opera di autolesionismo nazionale che si può spiegare solo se si ha l’obiettivo di denigrare la Repubblica anche a costo di mettere in ombra le responsabilità della Jugoslavia, di Tito e del dopo Tito, che vanno invece poste al centro dell’attenzione.
Quali responsabilità: avere attuato, alla conclusione della guerra che segnò la sconfitta dell’Italia fascista, una politica di violenza e di terrore (le foibe, le minacce, i processi, ecc.) per imporre un cambiamento radicale nella società e nei rapporti fra le storiche componenti etniche dell’Istria, Fiume e Dalmazia, fino a costringere tali popolazioni, salvo un’esigua minoranza ideologica, ad abbandonare le loro terre.
Si volle così ridurre al minimo, in quei territori, la presenza italiana, con una violazione sistematica dei diritti all’identità ed alla proprietà, secondo modalità che fondevano assieme i caratteri dei regimi comunisti ed una precisa volontà nazionalistica.
I tempi, lunghi decenni, di questo nazionalismo sloveno e croato, hanno contraddistinto tutte le fasi della vita del regime jugoslavo, dagli anni del primo, feroce, comunismo, a quelli della successiva versione nazional-comunista di Tito e del dopo Tito, fino agli anni ’90.
Si tratta di un nazionalismo che continua ancora oggi.
Tali politiche sistematicamente si sono abbattute sugli istriani, fiumani e dalmati nei loro luoghi d’insediamento storico.
È un popolo, questo nostro, non di estremisti, come la destra italiana e quella slovena e croata vogliono rappresentare, ma un popolo che ha subìto gli estremismi e ne è rimasto sconvolto.
Un popolo di gente abituata al lavoro del mare e delle campagne, un popolo operoso, di grandi capacità tecniche (cantieri, le fabbriche – anche per il lavoro femminile -, ecc.), un popolo di cultura, di arte e di larghe vedute, come lo sono i popoli del mare.
Non si tratta di colonizzatori venuti da fuori.
Sono i tratti, i lineamenti e la storia di queste genti che dobbiamo far conoscere a livello nazionale ed internazionale, e farli conoscere alle nuove generazioni perché sono parte della storia e dell’identità d’Italia.
Questa è la responsabilità maggiore dell’Italia Repubblicana: non aver considerato, fino alla Giornata del Ricordo, come propria parte questa parte, questa storia, questa cultura, queste sofferenze.
Avere trattato Trieste e la Venezia Giulia come se fossero “altro”, quasi un prodotto artificiale dell’esperienza fascista e non come capitolo originale del Paese.
Da qui l’incomprensione (i giuliani addirittura confusi spesso con i coloni della Libia e dell’Eritrea), da qui l’incapacità di vedere la portata e la profondità del dramma del confine orientale.
Così s’è accumulata nei decenni l’ignoranza e l’indifferenza a cui progressivamente i diversi governi nazionali hanno saputo far fronte, dando risposte sempre più lontane, quando non infastidite, alle nostre esigenze.
Noi istriani siamo chiamati ora, innanzitutto, a colmare questo vuoto culturale perché così mostreremo che i nostri diritti non nascono da velleitarie nostalgie di vecchi privilegi e prepotenze, né sono oggetto di rivendicazione – spesso strumentale – di una parte politica o di novelli estremisti, ma nascono e si affermano dalla storia, da una storia di strutturale presenza, violata con la forza e con una lunga sequela di menzogne che hanno trovato a lungo ascolto anche nel nostro Paese.
È con la cultura politica e civile dell’Europa, e con gli istituti della democrazia, che i nostri diritti devono trovare ascolto e sbocco.
Perché è un’antica civiltà europea, la nostra.
Renzo Codarin, presidente del Comitato ANVGD di Trieste