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05 ott – Il martirio di Don Bonifacio ora è nella storia

di GABRIELLA ZIANI su "Il Piccolo"

«Nel lontano 1930 mamma mi mandava dai francescani a prendere il pane per i poveri, quanta miseria, quanta miseria, ma la provvidenza non ci ha mai abbandonato, ciao Francesco, un forte abbraccio da tuo fratello, tu che sei in Paradiso saluta la mamma e le sorelle Gina, Giulia, Romana… e papà, e la zia, e lo zio…». Il più toccante momento della solenne cerimonia che ieri nella cattedrale di San Giusto ha celebrato la beatificazione del povero Francesco Bonifacio, sacerdote ucciso giovanissimo in Istria nel 1946, è stato l’atto di donazione del fratello Giovanni, 86 anni, che alla fine della lunga liturgia ha regalato accompagnandole con queste semplici e commoventi parole il calice della messa e la stola del «martire», «le uniche cose di lui che sono rimaste non essendosi mai trovato il corpo, e che ho conservato per tutto questo tempo».

L’applauso è stato lungo, caldo e affettuoso. Un momento di vera tristezza umana ha attraversato le ampie volte della cattedrale dove sedevano sotto i mosaici illuminati molti vescovi, governati al centro dal prefetto della Congregazione delle cause dei santi, monsignor Angelo Amato, l’inviato di papa Benedetto XVI di cui il prelato la letto il messaggio che rende ora Bonifacio beato, e onorabile con tutte le cerimonie che si riservano ai santi.

Se dietro questo avvenimento che per la prima volta mette la Chiesa triestina in una condizione così elevata c’è senza dubbio un eccidio di matrice politica, ricordato ieri di nuovo (ma con l’invito alla pace) dal vescovo di Trieste, Eugenio Ravignani, Amato nel suo articolato intervento di omelia è andato ancora più oltre. Non fermandosi alla rievocazione storica, ha lungamente elencato luoghi e modi dell’attuale «persecuzione» di cui la Chiesa è fatta oggetto. «C’è una vera e propria geografia del terrore» ha detto l’alto prelato elencando violenze in Afghanistan, Arabia Saudita, Cina, Corea del Nord, Mauritania, Somalia, Iraq, Nepal, Bangladesh, Pakistan, Nigeria, Etiopia, Sudan, Egitto, Turchia, India.

La versione stampata dell’omelia, distribuita nella cerimonia, cita anche le fonti da cui ha tratto alcune notizie sugli episodi più violenti: «Il Tempo» e «Il Giornale». Da quest’ultimo sono stati ritagliati due articoli usciti nei giorni scorsi rispettivamente a firma di Fausto Biloslavo e Gian Micalessin. Monsignor Amato, proprio nei giorni in cui il papa ammette e lamenta che in materia di etica sessuale e famiglia i cattolici non seguono le rigide indicazioni della Chiesa, ha lanciato dal pulpito di Trieste parole molto forti dicendo che la persecuzione anticattolica non è solo dei tempi di Bonifacio, o di altri paesi, ma è qui presente: «Anche nella nostra società – ha scandito a San Giusto – c’è spesso una persecuzione anticristiana sotterranea, fatta di derisione, di stravolgimenti di fatti e di parole, di offese, di promulgazioni di leggi inique. Si irride al Vangelo, alla legge del Signore, creatore e padre delle nostre vite. I mezzi di comunicazione sociale – ha aggiunto – ci opprimono con idee fatue, superficiali e spesso apertamente anticristiane».

In prima fila c’era Rocco Buttiglione, vicepresidente della Camera e presidente nazionale dell’Udc. Era arrivato alle 16 meno 5 minuti, quando la cattedrale era già ordinatamente in attesa, tutti seduti gli invitati (Azione cattolica, religiosi, parrocchie) e tutti in piedi gli altri. Sul piazzale file e file di sedie sistemate sotto il maxischermo di Telechiara erano occupate da quasi un’ora prima: c’erano bandiere, cartelli e gonfaloni di tantissime città istriane.

Ad attendere Buttiglione il sindaco Dipiazza, arrivato per primo fra le autorità. Accanto a lui la presidente della Provincia, Bassa Poropat, il prefetto Balsamo, i deputati Menia e Rosato, il procuratore Pace, autorità militari, consiglieri regionali (Rosolen, Bucci, Marini) anche sparsi fra le colonne. Nell’altra bancata, davanti alla famiglia Bonifacio, l’archimandrita greco-ortodosso e il proteo-presbitero dei serbo-ortodossi. Ravignani, il padrone di casa, ha salutato tutti con fervore, e specialmente l’arcivescovo di Nairobi, l’inviato del cardinale Scola di Venezia, il vescovo di Capodistria, il metropolita di Lubiana, e tutti i numerosi vescovi arrivati dall’Istria in cui Bonifacio fu prete e venne ucciso.

Il loro ingresso per la navata centrale, assieme ai sacerdoti, in una lenta parata color rosso e oro, e la loro uscita altrettanto imponente, hanno dato una prospettiva «vaticana» alla muta intensità della cattedrale triestina, ieri teatro di una messa cantata solenne, in mezzo alla quale spiccava la megafoto di Francesco Bonifacio, beato, attaccata a una colonna: un volto semplice e triste, ancora stupefatto di sè e delle cose.

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