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03 lug – Don Bonifacio è Beato: la biografia di un uomo semplice

Don Francesco Bonifacio, vittima del regime titino

 

Nato a Pirano nel 1912 da una famiglia umile e profondamente cristiana, don Francesco era il secondo di sette figli. Alla fine delle elementari il parroco scorse nel fanciullo i primi segni della vocazione e lo indirizzò al seminario di Capodistria, dove si distinse per umiltà, ubbidienza e spirito di pietà. Ordinato sacerdote nel 1936 nella cattedrale di S. Giusto a Trieste, ebbe il suo primo incarico a Cittanova e successivamente assunse la responsabilità della curazia di Villa Gardossi, vicino a Buie, in Istria. Case sparse, senza luce, l'acqua molto lontana. Don Francesco si fece subito amare perché visitava ogni famiglia, specie se c'era un ammalato, e il poco che aveva lo distribuiva ai poveri. Così lo ricorda il fratello minore Giovanni: «Don Francesco profuse tutte le sue energie nell'apostolato. D'estate si alzava alle cinque, d'inverno alle sei, e subito si recava in chiesa. Dopo la Messa andava a scuola per insegnare il catechismo. Nel pomeriggio si rimetteva in cammino per conoscere tutti gli abitanti della zona e per portare loro la parola del Signore». Sofferente ai bronchi ed ai polmoni, il giovane sacerdote non dimenticava proprio nessuno: faceva visita agli ammalati, ai più poveri, e riusciva sempre a far giungere qualche dono sulla loro tavola, magari prelevandolo dalla dispensa di casa.

Dopo la fine della guerra l'Istria passò di fatto sotto l'amministrazione diretta del governo jugoslavo, che progressivamente mise a tacere tutte le persone scomode, lontane dall'ideologia marxista. Ogni giorno fucilazioni lungo le strade, sparizioni, violenze d'ogni genere. Sotto tiro, da parte delle forze di Tito, soprattutto la Chiesa e gli italiani. «Come passano i giorni? Tra delusioni e paure», scrive don Bonifacio nel febbraio del 1946. Ma non disarmò mai, non indietreggiò nemmeno di fronte alle intimidazioni: furono tagliate le funi delle campane e la chiesetta fu imbrattata con scritte oltraggiose. Benvoluto dai suoi compaesani, fu consigliato di andarsene: era in pericolo ma volle sempre restare accanto ai suoi fedeli. All'imbrunire dell'11 settembre 1946 (aveva 34 anni), tornando verso casa dopo una visita a Grisignana, venne fermato da due uomini della Guardia Popolare. Un contadino che era nei campi si avvicinò ai sicari e chiese loro di lasciar andare il suo prete, ma fu allontanato brutalmente e minacciato perché non dicesse nulla di ciò che aveva visto. Poco dopo le guardie sparirono nel bosco.

Don Francesco fu spogliato e deriso, ma chiese perdono per i suoi aggressori. Accecati dalla rabbia, questi cominciarono a colpirlo con pugni e calci: il sacerdote si accasciò tenendo il viso tra le mani ma non smise di pregare. I suoi carnefici tentarono allora di zittirlo scagliando una grossa pietra in volto, ma il curato pregava ancora. Altre pietre lo finirono. Da allora non si seppe più nulla di lui. Il suo corpo scomparve, gettato nella foiba di Martines, 180 metri di profondità. Così l'Arcivescovo Antonio Santin ha voluto ricordare Don Francesco: «Incontrare un fiore in una giornata gelida, mentre le raffiche di vento ululano sinistre, penetrano nelle case e spazzano le campagne, accende nell'anima la certezza che la terra non è un deserto senza speranza. Don Francesco Bonifacio, nella stagione violenta della guerra e del dopoguerra, fu tale fiore, dai colori tenui, ma splendido. Poi la tempesta lo divelse».

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